Dio esiste e vive a Bruxelles. Ha la pancetta, la barba incolta e non disdegna un goccetto di birra. La sua tuta da lavoro è una vestaglia, la tenuta con cui gestisce la vita degli umani ad un computer degli anni ’70 in uno stanzone squallido mentre la servile consorte – che non ama – passa l’aspirapolvere. La figlia undicenne lo detesta, e probabilmente anche il resto della gente lo farebbe, se sapesse della sua natura di babbo bastardo. Tocca proprio alla bambina, con qualche consiglio di JC (non un rapper, bensì suo fratello Gesù), provare a cambiare le cose attraverso una sacrilega ribellione: l’idea è di riscrivere il vangelo con l’aiuto di altri sei apostoli. Buona visione: la riscrittura della buona novella si trasforma in un insieme di sgangherati quadretti sui nuovi adepti, mentre il Signore la insegue passando per l’oblò di una lavatrice.
Nulla di quanto scritto sin qui è il frutto di una visione deformata da una doppio malto, anzi: il film ne riserva anche di più belle – o, come la pensa chi scrive, di più brutte. La stessa idea iniziale, apparentemente geniale, è più provocatoria che innovativa, per chi abbia bazzicato un po’ di fantascienza (o anche solo visto, direbbero i più severi, Una settimana da Dio: ma non vogliamo essere inclementi). Dello spunto di Jaco Van Dormael, la parte più interessante è probabilmente quella che dà il titolo in lingua originale ed a livello internazionale: Le Tout Nouveau Testament (The Brand New Testament), ossia l’idea di un sacra scrittura dissacrata per scriverne una nuova di zecca. Il problema è che ci si ferma alla dissacrazione: immaginosa, brillante, spumeggiante, ma che dura il tempo di una mezza scena o di una bollicina di champagne (da cui l’incolmabile distanza con più intelligenti anticonformisti d’oltreoceano come Terry Gilliam).
La (presunta) bravura, ostentata con stravaganza un po’ sterile, produce sì delle situazioni gustose, ma la sensazione è che la continua ricerca del grottesco ad ogni costo, del colpo ad effetto, della libera bizzarria… liberi il film da ogni impegno. E forse è meglio così: perché se, come sembra, Dio esiste e vive a Bruxelles volesse coltivare anche una qualche aspirazione poetica, sarebbe ancora più grave aver dato vita a questa brutta copia del più scialbo Michel Gondry. Così, mentre proliferano gli apostoli e le belle immagini nelle curatissime scenografie, l’autore sbriglia l’incurabile estro accoppiando una moglie insoddisfatta (Catherine Deneuve) con un gorilla (sic!), facendo innamorare un killer di una ragazza col braccio di porcellana dopo che ha tentato di accopparla e così via sulla strada della divertente semi-apocalisse.
Lo stesso innesco dei mirabolanti aneddoti sembra uno spunto per le gag, piuttosto che per veicolare una visione del mondo: la figlioletta ribelle avvisa tutti gli umani della data della loro morte. “Cosa faresti se sapessi di dover morire in un lasso di tempo?” sembra più una domanda da rubrica radiofonica che un quesito esistenziale, nonostante, poi, l’autore belga dichiari nelle interviste di cervellotiche metafore sul concetto di autorità e sui meccanismi del potere. Bella senz’anima, la storia raccontata da Jaco Van Dormael in Dio esiste e vive a Bruxelles procurerà sollazzo agli amanti della commedia alternativa, ma appare peccare di vizio di forma e fermarsi al vanitoso contentino estetizzante. Luccicante vetrina, ma non compriamo.