Con i Coen non si deve correre il rischio di prendere l’opera guardando le psicologie dei personaggi, perché il lavoro, lo “studio” è tutto di testa e niente viene lasciato lì sulla scena come elemento di secondo ordine. I Coen sono dei cineasti riflessivi e strutturalisti, il paesaggio di No country for old man è là per ribadirlo: solo schegge di immaginario. Il silenzio domina e viene interrotto solo da forme di violenza scheggiate ed autonome. Il mosaico che prende corpo procede attraverso un accumulo stilizzato e porta la tensione ai livelli di Blood simple per poi terminare nel finale a chiasmo.
Come si è detto, No country for old man è uno studio e va servito ad un pubblico probabilmente già idoneo ad interpretare la ballata maccarthiana di fondo.
Comunque un incontro tra i cineasti di Minneapolis e il narratore della violenta e desolata frontiera americana ha prodotto un film che racchiude in sé allo stesso tempo l’umano e l’analitico, il sangue e l’umana disperazione di ogni giorno. Che il killer di Bardem sia fuori di testa è una consuetudine dettata dal tempo che scorre al contrario. I Coen lo affermano in maniera del tutto circolare, istantaneamente riescono a raffigurare il male per poi liberarlo in faccia allo spettatore.