Memorie di un assassino (datato 2003, secondo film di Bong Joon-ho, dopo la commedia Flandersui gae – Barking dogs never die del 2000), esce solo ora, a distanza di diciassette anni. E’ un’uscita importante e per certi versi miracolosa. “Memorie” è un modo anticonvenzionale di impostare un dramma su una caccia all’uomo. Il racconto impostato da Bong è paziente e umile, carico d’attesa e pieno di interessantissimi tempi morti. In “Memorie” La costruzione del tempo filmico si basa su una distanza totale dagli avvenimenti proposti, calando lo sguardo verso un mondo vicino e, allo stesso tempo, apparentemente lontanissimo.
Il tono usato da Bong rimane sempre ironico, dolente, quasi sussurrato, anche davanti ai fatti più atroci che vengono inquadrati come atti di un destino incomprensibile e perennemente avverso. Il nume tutelare di Bong in “Memorie” è un registro minimalista che si addentra nei meandri dell’incubo, senza correre mai il rischio di intaccarne le pareti, per questo il suo occhio si protende verso la superficie del ricordo, manomettendo il giudizio critico, lasciandolo sullo sfondo, creando una voragine di senso dopo l’altra.
Nel film si racconta di un distretto di polizia che per far luce sui delitti di un serial killer viene coadiuvato da un poliziotto proveniente da Seoul. Le differenze tra i metodi investigativi vengono proposte come un’impossibilità di comunicazione tra due visioni antitetiche della realtà, ma alla fine entrambe andranno incontro al fallimento.
“Memorie” è la risultante di un processo di svelamento incompiuto, dove la risoluzione dell’enigma presuppone un processo interrogativo troppo ampio per le forze in gioco. E’ qua che Bong interviene sul cinema come prerogativa morale di una visione incentrata sul dubbio, sulla ricerca del colpevole continuamente frustrata, andando a costruire un’elegia del tempo perduto, come nel doppio finale, tra l’imbocco della galleria e lo scarto temporale tra il 1986 e il 2003. E’ una cesura estetica che si fa sentire sotto mentite spoglie, con il desiderio di comprendere l’indicibile e l’irripetibile connubio tra grottesco mefitico e mistero insondabile.