Il giovane favoloso

La biografia del poeta Giacomo Leopardi: la vicenda è ambientata nell'Italia ottocentesca, da Recanati, a Napoli. Nella sua breve vita il poeta stringe un profondo legame d'amicizia con Antonio Ranieri e si innamora perdutamente di una donna, Fanny Targioni-Tozzetti.
    Diretto da: Mario Martone
    Genere: drammatico
    Durata: 137
    Con: Elio Germano, Anna Mouglalis
    Paese: ITA
    Anno: 2014
7.1

Il Leopardi di Martone vuole essere prima di tutto Giacomo. Un uomo, e un uomo libero. Come l’uomo-elefante, con cui ha in comune la deformazione corporea – il cranio del “mostro” lynchiano, la gobba di Leopardi – ha sete di essere accettato e amato.

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Esibito fin dalla più tenera età come un fenomeno e un genio dal padre Monaldo, Giacomo accentua mano a mano le scelte radicali che lo conducono a una vita perpetuamente infelice. Nel film di Martone i momenti di svolta sono chiaramente individuati nella conoscenza di Pietro Giordani e nel celebre tentativo di fuga da Recanati del 1819. La scena del “processo” di Giacomo da parte del padre e dello zio dopo il fallimento dell’evasione progettata, è tra le più potenti del film e sembra definitivamente chiudere la porta alle speranze del poeta: andarsene dalla casa paterna è impossibile e, in un momento del concitato dialogo a tre, Giacomo si lascia sfuggire di non avere ambizioni, contraddicendo quanto espresso ai fratelli e allo stesso Giordani. Tutto si incupisce da qui in poi, compreso il suo pensiero filosofico.

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Per evitare il determinismo e le spiegazioni troppo semplici, con un’ellissi ben studiata Il Giovane Favoloso si concentra perciò sui sette anni di convivenza con il letterato napoletano Antonio Ranieri, gli ultimi della vita di Leopardi, ridotto ormai ad un uomo curvo e sempre malato, ma pronto a difendere la sua dignità e la sua concezione del mondo. Il giovane scrittore partenopeo funge da schermo per Giacomo di fronte alla realtà e sembra vivere in sua vece gli amori che la propria sventurata condizione nega al poeta di Recanati, come quello con la bellissima Fanny Targioni Tozzetti.

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Il problema di tutte le cinebiografie dei grandi uomini (e Il Giovane Favoloso lo è sotto ogni profilo) è però quello di scegliere una chiave per narrare la personalità prima che gli eventi della vita. Fedele al suo canone di cineasta rigoroso, Martone opera con ogni scrupolo filologico e alcune scelte, tra cui raccontare la genesi di “A Silvia” attraverso la visita di Leopardi al letto di morte della fanciulla, sono indubbiamente felici. La straordinaria prova di Elio Germano aggiunge intenso pathos al racconto. Tutto questo però non basta a dimenticare alcune cadute di tono abbastanza evidenti: ci riferiamo per esempio alla didascalica recitazione de “L’Infinito” (che non è nemmeno l’unica, visto che nei versi citati con tutta evidenza ci sono l’inizio de “La Sera del Dì di Festa” e “Amore e Morte” oltre a “La Ginestra” nel peraltro magnifico finale).

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Il mistero dell’uomo Leopardi rimane in ogni caso tale, come nella sequenza in cui il poeta difende il proprio pensiero dall’abbraccio delle teorie liberali e progressiste del secolo rappresentate dagli intellettuali del Viesseux. Leopardi nega ogni ottimismo intorno all’uomo, e nel fare ciò non manca di sottolineare che il suo nichilismo nulla ha a che fare con le disgrazie personali. Ci si chiede però allora (e ancora) se abbia senso insinuare spiegazioni in qualche modo edipiche, come nell’onirica sequenza dell’incontro con la Natura “matrigna” ripreso dal “Dialogo della Natura e di un Islandese”, che lascia trasparire le fattezze dell’arcigna madre di Giacomo sotto il busto della statua.

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L’ambizione di Martone di cogliere l’uomo sotto l’artista è dunque solo a tratti soddisfatta. Il Leopardi di Germano è contraddittorio e umano, quindi ha la vivacità di un personaggio concreto. Meno convincente suona invece la scelta di aderire in toto ai testi leopardiani più famosi. Forse ci sarebbe voluto il coraggio di tradire il Leopardi “poeta dell’Infinito”, magari addentrandosi nella sua ancora oggi incompresa grandezza filosofica, che Nietzsche non mancò di rilevare. La parte finale del Giovane Favoloso, più lirica e irreale, non è sufficiente per fugare ogni dubbio su un’operazione parzialmente riuscita, ma che avrebbe potuto essere più radicale e sorprendente.

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Ha una foto di famiglia: Lang è suo padre e Fassbinder sua madre. John Woo suo fratello maggiore. E poi c'è lo zio Billy Wilder. E Michael Mann che sovrintende, come divinità del focolare. E gli horror al posto dei giocattoli. Come sarebbe bello avere una famiglia così...