Dallas Buyers Club

Provincia americana, anni '80. Ron Woodroof è un giovane uomo che conduce una vita spensierata. Un giorno scopre di essere affetto da AIDS e di avere solo 30 giorni di vita. Inizia un interminabile calvario alla ricerca di una cura.
    Diretto da: Jean-Marc Valée
    Genere: drammatico
    Durata: 117'
    Con: Matthew McConaughey, Jared Leto
    Paese: USA
    Anno: 2013
7.3

Il cinema pseudo indie americano ben confezionato, tutto sommato. Questo è il genere di film che ci passa davanti agli occhi, e che fin dai primi minuti appare per ciò che è, ciò che vuole essere, o forse, ciò che può solamente essere, e nulla più.

La messa in scena ruvida e dimessa di Jean-Marc Vallèe (C.R.A.Z.Y., Cafè de Flore) – indubbiamente solida, ma anche anonima – accompagna per quasi due ore un Matthew McCounaghey, notevolmente smagrito per l’occasione (perfetto per l’Oscar, che potrebbe accaparrarsi), che interpreta Ron Woodroof, un bifolco texano dalla vita sregolata, che scopre di essere sieropositivo e di avere solo un mese di vita davanti a sé.
Siamo negli anni ottanta e il film racconta la vera storia dei buyers club, ovvero i punti vendita in cui venivano distribuiti farmaci non approvati dal governo americano per migliorare la qualità della vita ai malati che avevano contratto il virus HIV. Tutto questo visto attraverso Woodroof, un gretto elettricista cowboy omofobo, che piano piano smusserà gli angoli della sua rozza personalità, mettendosi in società con un omosessuale tossico (Jared Leto), e diventando quasi un paladino dei diritti dei malati di AIDS.
Il film di Vallèe ha ritmo e “funziona”, come si diceva, ma manca di personalità. Tutto è troppo sulle spalle del suo protagonista, che “funziona” anche lui, ma non riesce mai ad accendere davvero il film, a farlo vibrare. E anche le figure secondarie piuttosto incolori come il medico che prenderà a cuore l’intera faccenda (Jennifer Garner) e la drag queen (Jared Leto) non aiutano affatto a far decollare il film. E con un po’ di irritazione e dispiacere, non possiamo far altro che constatare che ci si trovi di fronte all’ennesimo mediocre, per quanto ben confezionato, prodotto pseudo indie acchiappa Oscar, con tutti gli elementi propri di quel genere: personaggi borderline, messa in scena sanguigna, e a far da sfondo al tutto, la retorica della storia vera da cui il film prende spunto. And the winner is…

A proposito dell'autore

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Ha fatto e fa cose che con il cinema non c’entrano nulla, pur avendo conosciuto, toccato con mano, quel mondo, e forse potrebbe incontrarlo di nuovo, chi lo sa. Potrebbe dirvi alcuni dei suoi autori preferiti, ma non lo fa, perché non saprebbe quali scegliere, e se lo facesse, cambierebbe idea il giorno dopo. Insomma, non sa che dire se non che il cinema è la sua malattia, la sua ossessione, e in fondo la sua cura. Tanto basta.