Infine è giunta. Sorprendente, inattesa, fulminante: l’epifania, un’illuminazione, quasi improvvisa: ho capito che Woody Allen, almeno fino al 1994 incluso, è stato una grande cineasta, un cineasta sopraffino, grande come nessun altro.
La carriera Allen inizia ufficialmente nel 1974, con Amore e guerra, prototipo perfetto di un demenziale colto ed elegante. Poi arrivano le commedie umane, esistenziali, in opere di una tristezza infinita, opere tombali e mortuarie, in film come Interiors e Manhattan.
Gli anni ’80 nel cinema di Allen sanciscono il periodo più fertile dello sperimentalismo alleniano, nel 1982, il suo film più divertente e libero in assoluto: Commedia sexy in una notte di mezza estate (il film del 2008, Vicky Cristina Barcelona non è latro che il suo remake turistico e patinato); poi le perle più alte, da Zelig (forse il primo mockumentary della storia del cinema? Quindi è Allen che ha inventato il genere? Bisognerebbe chiederlo a Enrico Ghezzi).
La rosa purpurea del Cairo (che assomiglia ad un “La fiammiferaia” girato 5 anni prima), Broadway Danny Rose, e poi di nuovo le commedie umane come Hannah e le sue sorelle e lo spettacolare Radio Days (1986), (il più importante e sentito elogio spazio-temporale mia girato sulla radio?); infine si torna agli amarissimi ritratti di donna, e dopo Interiors del ’78, si ha Un’altra donna, essenziale e sincero Posto delle fragole alleniano, fino all’89, l’anno di Crimini e misfatti (Match Point del 2005 ne è il suo remake altrettanto patinato come il film del 2008), nel 1990 esce Alice e tra il 1991 e il 1993 altre tre perle monumentali, Ombre e nebbia, Mariti e mogli e Misterioso omicidio a Manhattan (l’ultima commedia in cui il demenziale è più teorico che esplicitato). Infine Pallottole su Broadway, divertito omaggio al teatro, del 1994.
Da notare un fatto importante, tra i film del periodo 1974-1994 e quelli successivi: quasi tutti i primi film di Allen sono lunghi non più di 84 minuti, alcuni addirittura 77 o 79 minuti. Nei film successivi ad Allen non basteranno più e arriverà piano piano a far durare una pellicola ben 124 minuti, come nel caso di Match Point, che finora rimane il suo record personale. Fa riflettere la questione del tempo. Prima ad Allen bastava poco tempo per raccontare una storia, e il suo era uno stile narrativo sobrio e semplice. Allen aveva la semplicità dei grandi. Il suo cinema riproduceva la commedia umana senza fronzoli, gestendo la scena in modo del tutto lineare al racconto, senza orpelli autoriali. Il suo cinema era geniale perché osava scavare nel profondo, né misogino, mai gratuitamente cattivo o eccessivo (se non nell’ultima parte della carriera), sempre profondamente necessario.
Un’altro elemento fondamentale era il cast: mai divi, mai attrici fascinose o da rotocalco, sempre e solo grandi caratteristi, da Michael Caine a Gene Hackman, fino ad Ian Holm, le fedeli amiche Diane Keaton (un mastino dei tempi comici), Diane Weist, Mia Farrow (praticamente la Musa insieme a Diane Keaton, enorme performance in La rosa purpurea del Cairo, una specie di Kati Outinen americana), Barbara Hershey e altre. Praticamente Allen nel periodo suddetto non ha sbagliato neanche un film.
Woody Allen come cineasta è stato superiore a Spielberg, Scorsese e Eastwood messi insieme.
Il suo ultimo film, Midnight in Paris (2011), si dice sia uno dei suoi maggiori incassi di sempre, e che sia il suo film migliore da quando ha praticamente “smesso” di fare cinema.