Come si può vedere in modo chiaro una delle tante possibili differenze che corrono tra il cinema americano e quello italiano? Per esempio prendendo in esame due film molto importanti di due registi diversissimi come Marco Bellocchio e Quentin Tarantino, rispettivamente Vincere (2009) e Bastardi senza gloria (2009) si può evincere come i due autori abbiano preso di petto la Storia ma facendone un uso del tutto personale.
Bellocchio in Vincere prende una storia poco conosciuta come la relazione amorosa tra un giovane Mussolini e Ida Dalser raccontandola nei dettagli e trasformando il mélo in un film storico a tinte fosche, quasi fosse un film futurista nelle architetture mentali e nelle scenografie viscontiane. Il racconto di Bellocchio è semplice, teso, vibrante, non nasconde mai la potenza delle emozioni e il gioco teatrale dei gesti e degli sguardi, mirando alla pancia e alla mente dello spettatore grazie alle performance di due attori in parte come Filippo Timi e Giovanna Mezzogiorno.
Vincere di Bellocchio è un film che si dipana senza forzature, replicando la forma strutturale di quella che è la storia nella Storia, senza eccedere nei contenuti, ma tentando sempre di raffigurare l’ossessione della donna per quest uomo così vicino e lontano, un uomo amato profondamente che la ripudia, la dimentica, completamente preso dalla violenza del clima politico. Il bello del film sta tutto nella semplicità della storia, nella fotografia che taglia ogni inquadratura con la veemenza di squarci dal potere illusorio feroce. Vincere è un film che mangia e macina cinema, ma sempre tenendo a mente quella che è la fedeltà storica.
Tarantino, da par suo, la fedeltà storica non sa neanche dove stia di casa, la lascia in soffitta, se ne fa letteralmente un baffo, perché non gli serve a nulla.
Il suo Bastardi senza gloria è un film che invece di rispettare pedissequamente la Storia, inventa un mondo suo, alternativo alla Storia. Tarantino prende le macerie della Storia e del cinema stesso, le ricombina geneticamente fornendo uno spettacolo mai visto prima, con una squadra di ebrei cacciatori di scalpi, con i mano mazze da baseball, ebrei che paiono più micidiali dei nazisti stessi; Tarantino si inventa un meta-cinema in fiamme dove uccidere il Fuhrer, riscrivere la Storia non per revisionismo, bensì per quella che si potrebbe definire un sogno-incubo, una palingenesi autoriale, una cosa talmente precisa a livello di chirurgia cinematica che solo un cineasta si poteva permettere di mettere in piedi.
Tarantino inventa, cambia sempre le carte in tavole, reinventa le regole del cinema di guerra, è l’unico regista che oggi si possa permettere di infarcire di dialoghi praticamente vuoti, dentro lentissime sequenze che vedono personaggi intorno ad un tavolo a parlare, prima che scoppi il finimondo. Questo è il cinema di Tarantino e Bastardi senza gloria ne è l’esemplificazione più diretta e forse la più sgargiante: l’attesa prima della deflagrazione.
Tarantino quindi, massimo esponente del cinema americano prende la Storia solo per il gusto di ricostruirla secondo i propri principi devastatori, in un gioco di citazioni e di ellissi filmiche dove si rivedono la maggior parte dei classici del cinema. Quindi, Tarantino inventa.
Bellocchio invece restituisce tutto il clima amaro dell’epoca, al regista italiano interessa il documento, la presa di posizione severa, drammatica, grave, mai ironica, mai dissacrante di un pezzo della Storia d’Italia, non riscrive una partitura su quello che è già conosciuto, ma mette in chiaro allo spettatore i fatti di una vicenda forse colpevolmente dimenticata.
Tarantino gioca con il cinema e inventa l’impossibile, deragliando, sorprendendo, minacciando tutto e tutti, senza paura di nulla, in fondo questa estetica è la perfetta metafora del cinema americano: libertà di espressione di un concetto cinema altamente concreto e divertente pur nelle sue sfumature eleganti e distorsive. Ovvero, una delle poche volte (non rare, c’è anche Inception) in cui il cinema autoriale americano va a braccetto con il box-office.
Bellocchio testimonia una presa di coscienza, in modo serissimo e lapidario, senza concedere mai attenuanti a nessuno, ma vigilando su quella che è la materia in discussione, rimanendo sempre fermo ad un ideale di messa in scena altissimo e quasi ideale: mettere la forma della coscienza su pellicola, informare del dolore, delle lacrime, di chi ha subito l’onta della dittatura, di chi conosceva l’inganno e dovette tacere. E’ un cinema di forte impatto emotivo, molto mediterraneo, molto corretto e quasi spartano nella concezione visiva di immagini che riflettono solo se stesse. Per un delirio della forma che non si fa mai illusione vera cinema pittorico, ma che mira a restituire intatto il senso del tempo.