C’e da chiedersi quando finirà questa nuova moda lanciata dagli studio sulle presunte meraviglie del 3D. Come viene esplicato molto approfonditamente nell’ultimo numero della rivista Moviement Magazine-Speciale 3D, questa tecnologia, fin dagli anni ’50 era stata concepita dagli studio americani per tentare di far fronte alle nuove tecnologie che rischiavano di rubare spettatori al cinema.
Negli anni ’50 fu la televisione, negli anni ’80 la nascita dell’home video e delle vhs, oggi la concorrenza, forse la più spietata di tutte, del Web 2.0, dello sharing, del peer to peer, ma anche di youtube e dei social media.
Si perché lo sharing non da solo la possibilità oggi di vedere film nuovi gratis, ma porta nella casa di ogni utente informato un intero archivio di film in passato difficilmente recuperabili. Si possono infatti scaricare gratuitamente film mai visti di Rossellini, Mizoguchi, Ozu, Welles, Tarkovskij, non solo, quindi, Harry Potter e Twilight. Mai se era arrivati a tanto. E questa è una cosa che mina nelle fondamenta l’impero del cinema concepito in sala, se poi ci si mettono anche la possibilità di vedere i film come si vuole, quando si vuole, alla qualità che si desidera, con o senza sottotitoli di ogni lingua e il contesto di una crisi economica in cui i soldi perla maggior parte della popolazione sembrano essere finiti, si può dire che anche il cinema sia in cattive acque.
In realtà, invece, il cinema non sta morendo affatto, le sale sono ancora piene nonostante la persistenza della situazione descritta sopra, il cinema in 100 anni è sempre sopravvissuto alla grande a qualsiasi fenomeno concorrenziale e, per tornare al nostro discorso di partenza, il 3D appare veramente come un giocattolo, una trovata da baraccone, il sintomo di un industria alla perenne ricerca di un nuovo che implica la determinazione di un equivoco gigantesco.
L’equivoco di cui si vuole discutere in questa sede è lo spostamento, da parte di chi decide di utilizzare la tecnologia 3D, dell’interesse dalla componente contenutistica del film, ovvero, perché si fa il film e cosa si vuole dire, atta alla costruzione di personaggi che devono trovare una loro credibilità all’interno di una narrazione che debba suscitare un certo fascino ed un innamoramento verso un tema condiviso, che porti ad un rivelazione contenutistica che poi è il motore reale per cui si fa un film; allo spostamento, grazie all’uso del 3D, della riuscita estetico-esperienziale del cinema-cinema, ovvero, faccio il film in 3D perché voglio vedere che effetto farà sul pubblico, voglio concepire un’esperienza, voglio emozionare l pubblico attraverso una gamma eterogenea di illuminazioni estetiche a se stanti.
C’è un’altra considerazione da fare sul 3D. Il cinema è di solito considerato una forma d’arte piuttosto complessa, o almeno così dicono quei registi che non hanno le idee chiare su dove posizionale la mdp e su come far funzionare il proprio film e, si può benissimo considerare in questo senso l’esempio di un regista come Christian Mungiu, che nel 2007, con un budget di 650.000 auro, in meno di un mese ha scritto, diretto e montato il suo capolavoro 4 mesi, 3 settimane 2 giorni.
Ebbene, se il cinema è un’arte complessa, il 3D lo rende ancora più complesso, perché impone una rilettura complessiva della messa in scena in funzione di questa tecnologia così particolare.
Se si vuole usare il 3D occorre ripensare il cinema, perché questa tecnologia impone dei limiti perché l’effetto stereoscopico possa essere sfruttato al meglio.
Il 3D in futuro forse subirà una nuova mutazione, verrà utilizzato sempre meno, forse solo dai registi come Martin Scorsese, che con Hugo Cabret hanno dimostrato di avere un’idea di messa in scena ben chiara, ma per il resto, si tratta di una tecnologia che può offrire ben poco al cinema.
Si attende ora l’uscita del nuovo film di Baz Lurhmann, The Great Gatsby, che molto probabilmente aprirà il Festival di Cannes quest’anno. Si vedrà se gli scettici del 3D avranno o meno partita vinta.