Si può dire che gli anni ’90 hanno ritardato l’invecchiamento del cinema? Di sicuro Neil Jordan è stato uno dei cineasti più curiosi e poliedrici di questo decennio con opere come La Moglie del Soldato, Intervista col Vampiro, Il Garzone del Macellaio, Fine di una storia, e In dreams, il suo film, a torto, più bistratto (non mi dilungherò sul Leone D’oro Michael Collins, film di cui non so nulla e al quale mi piace essere all’oscuro, come al solito la mostra di Venezia celebra il cinema più stantio e prevedibilmente impegnato).
In seguito negli anni 2000 Jordan tornerà sui suoi passi girando dei semi remake dei suoi film precedenti, con opere prolisse quando non inutili come Triplo Gioco, Breakfast on Pluto e il controverso successo di pubblico ma non di critica The Brave One (quest’ultimo è l’unico film tra tutti questi citati che non ho visto, insieme a Fine di una storia). Jordan ama concentrarsi sulla storia utilizzandola come un canovaccio su cui instaurare un complesso conflitto di generi, stili, toni. Così Il Garzone del Macellaio è una strana commedia nera e un film in costume sui generis, se non addirittura una fiaba morale. Intervista col Vampiro è un horror girato come un noir di ambientazione vittoriana, un mèlo e una riflessione esistenziale sul ruolo del vampiro (cosa che nel Dracula di Bram Stoker di Coppola non si vede), con alcune delle migliori costruzioni scenografiche del decennio (forse migliori di The age of innocence), La Moglie del Soldato è un serrato apologo sull’identità e il raggiro, In dreams è un viaggio nella mente di un serial killer.
Jordan è uno dei pochi cineasti europei che possiede ancora l’abilità, estesa in tutti i generi con la predilezione per il noir, di sperimentare e divertirsi con il genere. A differenza, ad esempio, dei fratelli Coen, Jordan pratica un tipo di cinema meno freddo e cerebrale, meno intellettuale e citazionista (questo non vuole dire che stia tentando di sminuire capolavori come Barton Fink o Il Grande Lebowski), i film di Jordan sono dei neo-noir che si interessano alla storia senza snaturare quel complesso rapporto tra spettatore e personaggio. Non si mette mai una spanna davanti agli spettatori come fanno i Coen, i quali sembrano più dei registi-burattinai.
Il nervo del cinema di Jordan si fonda sull’accumulo stilistico come fonte di una irrazionalità narrativa, che è l’ingrediente principale di ogni noir postmoderno. Ma Jordan è riuscito a superare anche l’estetica del neo- barocco e del postmoderno, imponendosi come autore complesso di film semplici e spiraliformi E di questo va preso atto, come dimostrazione di lampante illuminismo immaginifico.