Quanto vale la distanza percorsa dal momento in cui si decolla a quello in cui si atterra? Quanto dura il tempo trascorso all’interno di un aereo? Come si può gestire lo spazio dell’attesa, nell’interfaccia temporale che separa la situazione fisica in cui si sta per decollare a quella in cui il muro dei 350 metri d’aria separano i passeggeri dalla terraferma?
Peter Weir e Robert Zemeckis rispettivamente in Fearless Senza paura (1993) e Flight (2012) hanno misurato questo spazio temporale invisibile, questa cortina di ferro mentale, andando a mettere in scena l’attesa per una collisione che, alla fine, si verifica e introduce i rispettivi film nel sentiero del dramma psicologico.
La distanza che intercorre tra i due cineasti è abissale. Peter Weir imbastisce la serrata analisi di un personaggio sui generis, un uomo che durante la collisione si trasforma e crede di non sentire più la paura, dopo lo spaventoso incedente aereo trova la forza post-umana di salvare dei passeggeri del tutto increduli delle sue potenzialità. L’eroe, magistralmente interpretato da Jeff Bridges, arriverà ad occuparsi di una giovane madre (Rosie Perez), distrutta dalla morte del figlio di due anni, facendole rivivere il momento dello schianto, andando a sbattere contro una macchina.
Mentre Weir racconta di un uomo normale che subisce una metamorfosi dopo l’incidente, Robert Zemeckis invece mette in scena un uomo già pieno di problemi ancora prima di prendere l’aereo. Ma, rispetto al film di Weir, non si tratta di un passeggero, bensì di un pilota molto esperto, che si mette alla guida dell’aereo in evidente stato di ebbrezza e dopo aver passato un notte di sesso e droga con un’amante.
In effetti sarà proprio grazie al suo elevato stato alcolico che il pilota riuscirà a salvare la maggior parte dell’equipaggio con una spettacolare e impossibile manovra, dopo che un guasto aveva fatto precipitare l’aereo.
Queste le due differenti situazioni dei rispettivi film: in entrambe le narrazioni viene innestata una traccia da legal thriller, che nel film di Zemeckis è più pronunciata, perché il protagonista del film è messo direttamente sotto accusa, rischiando il posto di lavoro e la galera, mentre nel film di Weir tutta l’attenzione è concentrata sulla vita interiore del protagonista, sullo stato mentale del passeggero-eroe che viene sconvolta dalla tragedia.
Ma il passaggio fondamentale sia in Weir che in Zemeckis rimane l’introspezione cinematica dello sguardo all’interno della cabina poco prima che l’aereo precipiti. La dicotomia mentale tra lo stare sospesi in attesa di atterrare e il ricordo del volo che ha innescato la tragedia genera una mentalità di tetra rimozione del dolore. Weir devolve l’espressione catartica del suo cinema in sospensione con una sotto traccia di astuzia ermeneutica, aprendo lo sguardo sul punto di vista al limite del new age del suo protagonista, che crede di essere diventato quasi immortale.
In seguito l'”eroe” ritroverà la normalità mortale assaggiando il cibo per lui proibito, la fragola, in quanto allergico al frutto. Solo la moglie lo salverà da morte certa con un repentino, disperato atto d’amore.
Nel Flight di Zemeckis la catarsi invece è se possibile ancora più violenta e netta, ma purtroppo pecca di un moralismo di ritorno che genera un irreparabile contrasto con l’impalcatura da legal thriller vista per tutto il film: il pilota ha compiuto un atto eroico (che, come gli dice l’Ispettore della compagnia, interpretato da Don Cheadle, non è riuscita a nessun altro nelle successive prove di simulazione), ma la sua coscienza è devastata dai rimorsi e, alla fine, il dolore sfocerà in una confessione che lo porterà ad una incriminazione, bollandolo davanti alla società come alcolizzato.
Così alla rigorosa analisi esistenziale di Peter Weir, che mette in prospettiva il disastro aereo con brillantezza e plasticità narrativa da maestro, Zemeckis si lascia andare alla retorica hollywoodiana, restituendo il ritratto di un debosciato di genio, un uomo pieno di contraddizioni che deve espellere il proprio demone per ritornare alla vita civile.
Il cinema del disastro aereo rimane un’ipotesi del tutto feconda di comunione esatta tra forma e contenuto, dove la catarsi diventa sempre il tramite di una scoperta esaltante, rivelatrice di un mondo interiore mai abbastanza studiato.