“E tu vivrai nel terrore di sceneggiature tutte uguali, dove una preclusione ideologica determinerà la costruzione di film tutti uguali, dove non ci saranno più sorprese e avvincenti colpi di scena, che sono in verità il motivo principale per cui si va al cinema. Perché non si sa come andranno a finire cose come Memento, Pirati dei Caraibi, Kill Bill, Million Dollar Baby, Vizio di forma o Il filo nascosto e si continuerà (?, si spera!) a riempire le sale di spettatori che saranno sempre curiosi di sapere come andrà a finire quella battaglia o quella storia d’amore”.
Questa sopra potrebbe essere un’epigrafe da inserire a commiato dell’epoca odierna, per affermare: e così ci siamo arrivati. Un esempio concreto per tentare di capire qualcosa di cosa sta succedendo. Il cinema di Christopher Nolan, almeno nei suoi film principali, da Memento a The prestige fino a Inception, compresi il secondo e il terzo capitolo dei suoi Batman è sempre stato caratterizzato da figure di protagonisti maschili la cui trama veniva segnata dall’elaborazione di un trauma seguito alla morte più o meno accidentale della donna amata. Accade precisamente in Memento (2000), su The prestige (2006) persino entrambe le donne amate dai due protagonisti muoiono per cause del tutto fortuite, a seguito per l’appunto di accidenti narrativi non dovuti ad alcuna preclusione ideologica; in Inception Donn Cobb/ DiCaprio a provocato incidentalmente il suicidio della moglie Mal/Marion Cotillard. Stessa cosa accade al Procuratore Dent de Il Cavaliere Oscuro, diventato pazzo (Due Facce) perché il Joker gli ha ucciso la donna amata (Maggie Gyllenhaal).
In tutti i casi riportati l’elaborazione del trauma è perfettamente credibile e lo spettatore è portato ad identificarsi con il dramma privato di personaggi maschili tutti d’un pezzo. Poi arriva Tenet (2020), dove per la prima volta la moglie uccide il marito violento. E il sospetto che dietro ci sia un’ideologia è piuttosto forte, anche perché Tenet è il rompicapo più indigeribile che Nolan abbia mai costruito. Dato che lo Zeitgeist non risparmia niente e e nessuno ed è capace di corrodere qualsiasi cosa, il pensiero che Lo Stato di Polizia Arcobaleno-Femminista che vige nell’America di oggi possa influenzare alcuni tra i più importanti registi di oggi non si può nascondere.
Quindi non più incidenti narrativi dovuti alle ossessioni degli artisti, ma prima l’ideologia dominante invade tutto il territorio della comunicazione e poi gli artisti ci fanno i film su misura. E’ capitato anche agli ultimi due kolossal di Ridley Scott, dove entrambe le donne protagoniste si vendicano del maschio di turno in modo diretto e indiretto. E dove sono le sorprese? Da nessuna parte, lo Zeitgeist domina. Domina anche nell’ultimo musical di Spielberg, l’unico, per certi versi poco comprensibile, disastro al box office del regista, dove nella parte finale il branco dei maschi bianchi violenti, stanno per assalire la donna di colore, arriva puntuale la “polizia” nei panni di Rita Moreno e vengono subito redarguiti, come a comando, ma senza veri incidenti narrativi.
Questi sono singoli episodi di mancanza di idee e di corruzione ideologica. L’esempio di Nolan è il più calzante e evidente. Questo non significa che i personaggi femminili non siano stati valorizzati nel cinema americano d’avventura degli anni 2000, visto che Nolan seguendo logiche moderatamente romantiche poneva la morte della donna in funzione iniziatica del travaglio interiore del personaggio maschile. Difatti, sia in Kill Bill che nella trilogia dei Pirati i personaggi di Uma Thurman e di Keira Knightley ottenevano un’importante rivalsa rispetto alla condizione narrativa iniziale.
In un caso ancora più eclatante di cinema degli ultimi vent’anni, con protagoniste donne, non proveniente da Hollywood, nel Dogville di von Trier Grace/Nicole Kidman chiedeva gli strumenti al Padre Boss per eliminare gli abitanti del piccolo paese che l’avevano maltrattata. Ma queste argomentazioni si sperava di non dovere far emergere, siccome lo Zeitgeist è di una povertà sconcertante e avvilente, chi scrive ha sentito il bisogno di ammonire davanti alla stupidità agente.
Dulcis in fundo, è apparsa persino la critichessa Martina Volpato che su Segnocinema n. 226 ha sostenuto che Tenet fosse un film politico di stampo obamiano, affermando che la scelta di usare l’attore di colore John David Washington è dovuta al fatto che l’attore aveva interpretato il ruolo da protagonista nel film antirazzista di Spike Lee Blackkklansman. Questo è per l’appunto il razzismo degli antirazzisti. Perfetto. Ottimo. Lo Zeitgeist colpisce ancora. Per fortuna i colleghi maschi sempre su Segnocinema hanno dato interpretazioni più accurate e nient’affatto avvilenti. Ma basta leggere la chilometrica scheda sul nuovo Mereghetti per capire quanto al critichessa Volpato abbia capito poco di un film difficilissimo, affascinante e per certi versi irritante.