Twentynine Palms è un film sicuramente sbagliato, per le sue deflagrazioni improvvise, per l’assenza di un punto di vista chiaro su una storia che neanche c’è e che quas subito si fa confusa. Ma bisogna anche avere il coraggio di farli certi film. In questo film del 2003 Bruno Dumont ripete quella che è la struttura portante del suo cinema: il paesaggio circostante non è altro che l’emanazione dello stato d’animo dei propri personaggi (lo ha anche lo stesso regista in un intervista). La messa in scena manichea dell’America più profonda è densa di xenofobia e razzismo, la recitazione è “di strada”, o meglio, sembra non esserci affatto, anche perché Dumont utilizza gli attori come persone e riesce a non farli mai recitare. Twentynine Palms è un film che nessuno avrebbe mai il coraggio di fare, è di una schiettezza, di un’aridità umana tale che farebbe impallidire le provocazioni di Lars Von Trier.
Personalmente preferisco Hadewijch (2009) a Twentynine Palms, lo preferisco anche a Flandres (2006) e trono quasi buono Hors Satan (2010). Ma il lavoro che Dumont ha fatto sulla novizia di Hadewijch è molto più consapevole e sensato. In Hadewijch non c’è pornografia dello sguardo, niente colpi bassi, solo il pudore e la lirica di un cineasta che indaga il presente nello sguardo smarrito della sua attrice. E’ un cinema inammissibile quello di Dumont, nudo, spoglio, un cinema che taglia gli sguardi e racconta il vissuto, senza pudori, sempre sfacciato ma pudico, intransigente, povero, ma denso di costruzioni emotivo-paesaggistiche mai viste.