2001: Odissea nello spazio

In epoca preistorica alcune scimmie si imbattono in un monolite nero, dopo averlo toccato assumono un comportamento intelligente e usano lo scheletro di un animale come strumento di offesa. Nel 2001 una missione spaziale scopre un monolite di cui non ci conosce l’origine ma che mostra somiglianze con quello preistorico. Diciotto mesi dopo, durante una missione spaziale l’astronauta Bowman deve spengere il computer di bordo Hal 9000, che ha provocato la morte dell’equipaggio. Il viaggio di Bowman nelle profondità dello spazio non avrà fine.
    Diretto da: Stanley Kubrick
    Genere: fantascienza
    Durata: 149
    Con: Keir Dullea, Gary Lockwood
    Paese: UK, USA
    Anno: 1968
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La riedizione della space opera di Stanley Kubrick programmata nelle sale cinematografiche nel giugno-luglio 2018 offre un’ulteriore occasione a chi non aveva mai visto il più importante film di fantascienza di tutti i tempi su grande schermo di colmare la lacuna. Intere generazioni lo hanno visto in televisione prima, in dvd e in Blu Ray poi. Eppure, lo scarto rispetto al grande schermo si sente e rimane tutt’oggi fortissimo. Nel silenzio della sala il film torna come nuovo, come se fosse uscito sugli schermi pochi mesi fa per la prima volta. Il salto dal piccolo al grande schermo si rivela per l’ennesima volta più che necessario. Anche per chi come il sottoscritto conosceva ampiamente il film avendolo già visto più volte in tv. Ma le questioni più rilevanti rispetto al film di Kubrick sono ben altre e riguardano il rapporto con il cinema che è venuto dopo, da Guerre stellari di Lucas ad A. I. di Spielberg fino alla cacofonia audiovisiva dei Transformers di Michael Bay.

2001: Odissea nello spazio può essere definito un film lento, per non dire narrativamente inconcludente? La risposa è negativa, perché anche nel prologo preistorico con le scimmie il montaggio rimane perfettamente ancorato allo stile americano, nessuna lentezza “europea”, Kubrick rimane un cineasta di Hollywood, dal punto di vista visivo il montaggio resta sostenuto. Quello che cambia rispetto alla triade Lucas-Spielberg-Bay è semmai il comparto audio: 2001 è un film caratterizzato da uno straordinario silenzio e da un utilizzo essenziale della drammaturgia sonora. E’ un film che si può definire minaccioso e angosciante, soprattutto nella seconda parte, quando l’astronauta Bowman deve rivaleggiare con il computer Hal 9000. Tutta la macro sequenza del “duello tra Bowman e Hal 9000 risponde ad un modello parco, quasi ancestrale. Nonostante il montaggio sia comunque sostenuto (i quattro stacchi nella scena del primo omicidio da parte di Hal 9000 fanno ancora oggi impressione) la lentezza dei movimenti di macchina di Kubrick restituiscono un’idea di Spazio inospitale e spietata, d’altronde questa deve essere stata un’intenzione primaria di fondamentale importanza per l’autore, far sentire la sensazione di vuoto, l’angoscia dello spazio infinito. E’ soprattutto in questo che si rivela in tutta la sua magnificenza l’intuizione di Kubrick di far parlare immagini che si stampassero sullo schermo assolute e immutabili nel tempo.

La componente della minaccia stride rispetto alla bellezza aurorale, all’armonia delle sequenze “baciate” dal valzer di Strauss. In queste scene, una volta viste su grande schermo, si ha la sensazione che le gigantesche astronavi quasi arrivino in faccia allo spettatore per travolgerlo e metterlo in soggezione. 2001 si basa su una profonda conoscenza dei ritmi rotatori del cinema: le immagini sono calibrate in modo tale da mettere in quadro il dispositivo immaginifico; il montaggio pare monitorato da un direttore d’orchestra; il valzer viene adoperato come un tessuto connettivo che stratifichi immagini e montaggio, dandogli una patina protettiva che li veste e li protegge da ogni compromesso di ricatto o di citazione dotta. Così si crea una purificazione cinematografica che riduce il tempo delle sequenze e dilata lo spazio della narrazione. Le immagini di 2001 assomigliano a lampi in armonia con il vuoto spaziale, mentre la storia si dipana nel suo eterno mistero, ineluttabile, controverso, dove la quiete misteriosa del pensiero cinematico si fonde con la consapevolezza spettatoriale. Insomma, il cinema pensa e lo spettatore ci riflette sopra. E’ il modus operandi di Kubrick, un cinema senziente, dotato di una sua personalità autonoma, di gangli nervosi e di spina dorsale.

E’ anche perché questo che 2001 è un film che non muore, che rimane nel tempo, che si colloca là dove il tempo viene a mancare, in quella soglia extratemporale dove le coordinate segniche si ricongiungono ad una linearità sommersa. Così la struttura narrativa di 2001 si compone di un prologo preistorico dove dominano la bestialità e il disordine, una parte centrale regolata dalla bellezza, l’ordine e l’armonia e una terza parte finale ambientata nello spazio più profondo dove il disordine della meccanica quantistica creano un universo caotico e dispersivo. Queste tre fasi temporali sono collegate dal monolite nero. Una barra nera che connette l’uomo con le forze dell’universo, un vettore che illumina la coscienza dell’uomo, lo trasforma da scimmia ad essere intelligente, fino a farlo invecchiare per farlo morire e rinascere in quanto feto, un uomo nuovo che è il segno più tangibile della mentalità di Kubrick, feto astrale che ha diretto un film-Tempo, un’opera dove il segno si fa silenzio e riempie lo Spazio con domande che non prevedono risposte.

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).