Tra le modalità con cui si può affrontare il discorso del cinema a scuola, tre sono emerse negli ultimi 10 anni: la prospettiva documentaristica, quella mirata alla rappresentazione delle diseguaglianze sociali e quella che porta verso una chiarificazione, una rivelazione ultima che offra una riconsiderazione dei ruoli sociali.
Nel primo caso, quello della prospettiva documentaristica, prendiamo in esame Essere e avere di Nicolas Philibert (2002), un film senza un plot narrativo vero e proprio, perché Philibert andò a filmare i bambini dell’asilo nido nella provincia francese, con in mano la sola mdp e, in seguito, montando il girato, così come era venuto, forte della sua lunga esperienza nel documentario, scegliendo accuratamente immagini prese dalla quotidianità, facendo respirare il girato di un’aria rarefatta e quasi illusoria, nelle stanze della scuola, dove si apprendono i primi insegnamenti alla vita, lo sguardo di Philibert non è filtrato da nessuna necessità di commentare le immagini, ma semplicemente lascia che il girato prenda forma da sé.
Philibert comunica la sottigliezza del cinema, l’esplicazione di una frattura tra immaginario e resa reale della documentazione veridicistica. Philibert riprende il reale e lo strasfigura nella sua immagine riflessa come fosse passato attraverso il pensiero di un entomologo, guardando i fatti ed eliminando la sensazione che la mdp sia là, presente, ad ascoltare e a filmare ciò che a viene. Si chiama pudore, è una cosa probabilmente antica, ma fa di Essere e avere un manifesto di pulizia grafica fuori dal comune.
Philibert non deve dimostrare niente a nessuno. E’ già tanto.
Nel secondo caso, si può prendere in esame La Classe, in cui Cantet prende di petto il genere del thriller sotto forma di documentario sociale, mettendo chiaramente in scena le differenze tra culture diverse. Cantet opera rispetto a Philibert uno scarto formale importante, perché fa subito sentire la fisicità della mdp, perlustrando i volti degli studenti-attori con la dovizia di un narratore che spazia abilmente nella costruzione di una drammaturgia tesa, tenuta in piedi di un lavoro di montaggio serrato, che fa appunto pensare ad un thriller.
Cantet intende mettere in crisi l’istituzione della scuola, facendo emergere conflitti insolvibili, meschinità, problemi di dialettica, disguidi di forma che portano ad una chiarificazione spontanea e libera, in una scuola che però non riesce a valorizzare tutti i singoli elementi.
Il regista francese opta per un cinema in cui la realtà della scuola funzioni da specchio del mondo, mentre in Philibert si rileva la costruzione di un mondo cristallizzato, quasi staccato dal mondo, non certamente idealizzato, ma tendente ad un’operazione di politica della visione che porti alla preservazione di una certa umanità non corrotta.
Nel terzo caso, prendiamo in esame Monsieur Lazhar, film che non ha la forza visivo-narrativa degli altri due film, ma presenta una storia piuttosto singolare e la narra attraverso un uso della frontalità della mdp, abbastanza onesta e veritiera.
Dopo il suicidio inspiegabile della maestra, si presenta ad una scuola canadese un maestro come sostituto, Monsieur Lazhar, che fa lezione normalmente, ma poi si scopre che lui non ha mai insegnato in vita sua e che tutta l’esperienza che dimostrava nei fatti di aver accumulato, non esisteva.
Il film è tutto qui, ma funziona proprio per l’idea narrativa scaltra, rinforzata da un cast eccellente.
Monsieur Lazhar mette in scena la non professionalità come lustro ad un divenire immagine di un ruolo sociale che pare si faccia da parte, per portare avanti una democratizzazione dell’insegnamento che ribalti la categoria sociale e insinui il dubbio sulla veridicità e la dignità di una professione delicata che vive della passione di chi abbia il coraggio di far sorgere nelle giovani menti un pensiero solido e non ammaestrato.