Dunkirk è l’espressione più alta della cinematografia di Christopher Nolan, per chi apprezza lo stile di questo regista. Il suo primo film di guerra, il suo più corto se non si tiene conto dell’esordio (Following, 1998), condotto con la mano sicura di chi sa di avere a disposizione uno dei compositori più riconoscibili e autoriali del panorama della musica per film, Hans Zimmer. Dunkirk, per metà è suo. La colonna audio è talmente potente, assordante, d’impostazione evidentemente wagneriana, da puntellare praticamente ogni singola scena, tanto che in alcuni frangenti la poltrona della sala dove ho visto il film a tratti tremava al ritmo delle percussioni del dolby sorround. Un’autentica esperienza visiva totale, dove lo spettatore è immerso negli scenari di guerra.
Da questo modus operandi non è lecito attendersi cambiamenti da parte di Nolan. Ma se Inception e Interstellar portavano avanti la narrazione oltre le due ore e il secondo arrivava quasi a tre, con Dunkirk il problema di tenere alta fino alla fine l’attenzione non si pone più di tanto, dato che la durata è ridotta a poco più di un’ora e mezza e non c’è il dilemma della scoperta, come nelle impegnative opere di fantascienza, questo suo ultimo film è la ricostruzione di quello che avvenne all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, la vicenda è ampiamente conosciuta. Tutto Dunkirk è basato sulla sconvolgente sintesi tra i raccordi di montaggio, dove le immagini si dipanano senza freni, potentissime, sostenute dall’ampiezza teutonica del lavoro senza sosta di Zimmer.
L’impaginazione, il tono perennemente aulico, la ferma convinzione che ogni immagina debba essere contrappuntata da un’intelaiatura metallica, spessa, tale da far risuonare ogni rintocco nell’aria, Nolan controlla la sua forma volando al ritmo di un falco che primeggia e non chiede mai umiltà ai suoi personaggi, ma sempre e solo atti eroici. Dunkirk è una pennellata autoriale che si appoggia su un sistema visivo perfettamente collaudato. Non gli serve più chiedere qualcosa allo spettatore. Decide tutto lui, un direttore d’orchestra che conosce tutte i segreti della sua perfetta macchina.