A lullaby to the sorrowful mystery

Nel 1897, nelle Filippine, la rivoluzione infuria. Andres Bonifacio, leader del movimento di liberazione dalla Spagna, è condannato a morte il 9 maggio. Le comunità sono in subbuglio e la vedova di Bonifacio, Gregoria, affranta dal dolore, cerca nella foresta il suo corpo.
    Diretto da: Lav Diaz
    Genere: drammatico
    Durata: 485
    Con: Piolo Pascual, John Lloyd Cruz
    Paese: Filippine, Singapore
    Anno: 2016
7.6

Si può accusare Lav Diaz di megalomania? Dopo la visione magmatica, infinita, tombale-mistica, irrequieta e profondamente lirica di A lullaby to the sorrowful mystery (2016) non credo proprio. Il regista filippino fuga ogni dubbio sull’autenticità del suo operato con un finale libero da ogni tendenza retorica allo sperpero visivo o allo sproloquio verbale, adottando un tono silenzioso e prosaico. E’ in sussurro che il “lullaby” si conclude, in totale parsimonia visiva. E’ tutto qui il senso di un’opera magniloquente di pura astrazione visiva, scintillante, notturna ed enigmatica. Come ci si può trovare a riportare l’esperienza di una visione di otto ore? Due mattine trascorse con lo stesso pubblico che, attento e incantato, segue le peripezie di personaggi muliebri inseriti in un contesto altro che in fondo non appartiene, perché non appartenente all’Occidente? Si rimane inebetiti, senza parole e quasi senza fiato davanti ad una messa concentrica, di spazialità “altra”, di immagini autoconclusive e mai concluse veramente che, essendo passate davanti ai nostri occhi per otto ore, non sarà mai possibile registrare in maniera compiuta.

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A lullaby to the sorrowful mystery necessiterà di una seconda visione, se sarà possibile. Per una maggior distensione visiva di una nucleo narrativo talmente denso da far tremare in polsi. E’ così che si esce dal cinema. Ancora si deve capire cosa si è visti. Certo, nessuno è così incosciente da venire a vedere un film di questo genere e di questa lunghezza, se non ha avuto almeno una volta l’esperienza di una visione di uno dei film fluviali di Lav Diaz. Da Century of birthing a Florentina Hubaldo Cte, da From What is Before fino a Storm Children: Book One, lasciando da parte l’unico film che Lav Diaz ha girato a colori negli ultimi sei anni, Norte, il percorso del regista filippino è di una coerenza totale. Il suo cinema impegna lo sguardo ma alla fine gli restituisce tutta la fatica con una “primavera sorda” di visioni che non ha eguali.

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Il film di Lav Diaz non sono opere punitive, allargano l’orizzonte dello sguardo e non si riducono alla riflessione sull’incomunicabilità. Questo aspetto differenzia il cinema di Diaz da quello di Tsai Ming Liang. Diaz riesce anche ad andare oltre la pretesa di una riflessione filosofica. Chiedendo comunque molta attenzione da parte dello spettatore, ma non pretendendo mai di costruire l’opera mondo. Diaz sa che il suo punto di vista sul mondo è del tutto limitato alla sua prospettiva. Lav Diaz mette in scena tutti i possibili punti di vista all’interno di una dialettica profondamente inclusiva di un mondo rarefatto e comunque fuori fuoco, ma l’onestà del suo sguardo mette al riparo “lullaby” da derive ultra autorialiste. Lav Diaz è un G.A.A., un Grande Autore Assolutista, ma si prende carico di questa responsabilità senza alcuna ansia autoriale.

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Dopo il Pardo d’Oro al Festival di Locarno con From What Is Before (2014), il Premio Alfred Bauer per il cinema del futuro al Festival di Berlino 2016 con questo A lullaby to the surrowful mystery e il Leone d’Oro a Venezia 2016 con The Woman Who Left, a Lav Diaz manca solo la Palma d’Oro. Prima bisognerebbe che Cannes iniziasse a considerare il regista meritevole del Concorso. Ma qui entreremmo nel campo della speculazione festivaliera. Il 2016 è stato l’anno d’oro di Lav Diaz, regista che dopo le opere più radicalmente sperimentali degli anni 2000, Evolution of a filipino family (2004), Death in the land of encantos (2007) e Melancholia (2008) ha superato il livello della nicchia autoriale, approcciandosi a sperimentazioni di differente corso, maturando una sensibilità più composita e lirica nelle opere degli anni ’10, consacrandosi come G.A.A. di grande potenzialità espressiva. Una nota importante: se si pensa che film di così ampia durata dove c’è un utilizzo marcato del long take (svariate riprese fisse) possano sembrare proibitive, bisogna fare un atto di coraggio e tentare la visione proprio per fugare il dubbio sulla difficoltà di fruizione. Vedere per credere: come Lav Diaz riprende la foresta filippina in b/n nessun altro può farlo. Il b/n del regista filippino è molto colorato, non viene usato un forte contrasto visivo e sono visibili tutte le sfumature del verde e del grigio.

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).