Jep Gambardella, uno scrittore famoso per un unico romanzo, "L'apparato umano", dà una festa per i suoi 65 anni in una Roma fatiscente e decadente.
Diretto da: Paolo Sorrentino
Genere: drammatico
Durata: 150'
Con: Toni Servillo, Carlo Verdone
Paese: ITA
Anno: 2013
In bilico tra mondanità e spiritualità, sospeso tra futili azioni quotidiane e accese discussioni sull’essenza della vita, Jep Gambardella (interpretato da Toni Servillo) è un uomo di appena sessantacinque anni, scrittore.
Il film di Sorrentino, La grande bellezza, in concorso al Festival del Cinema di Cannes, è caratterizzato da un continuo susseguirsi di immagini grottesche, chic, barocche e di inquadrature dall’altissima qualità e pregnanza simbolica; quasi pittorica. Il regista è sempre stato capace di utilizzare la macchina da presa nel migliore dei modi, sebbene questo non assicuri la riuscita e il valore di un film.
La vita di Jep, soprannominato il re della mondanità, è stata vissuta a pieno godendo delle bellezze e le spensieratezze di una giovinezza e partecipando a festini: tra cocktails, sigarette, donne dalle scollature ben in vista, balli e trenini. Sente all’improvviso il bisogno di frenarsi e di concedersi un minuto di riflessione. Come se i sessantacinque anni inducessero a dare al tempo un senso e un significato diverso: non si possono più sprecare le ore a fare cose controvoglia o inutili.
Assolutamente interessante la scena in cui Servillo rapporta la recitazione al mondo quotidiano, al bisogno di teatralizzare i momenti più belli o più brutti. Ci si sofferma sul senso del funerale, sulle posizioni, sulle parole da dire e sui momenti in cui “entrare in scena” o restare dietro le quinte. Probabilmente in quella sequenza c’è una delle performance dell’attore di maggior rilievo. Ancora una volta, come nel film dell’omonimo regista, Il Divo (2008), è lui il protagonista, è lui su cui le luci si soffermano e concentrano.
Impeccabile tecnicamente per alcuni versi, criticabile per quanto concerne altre scelte: riguardanti sia la sceneggiatura, la storia, sia la strategia di marketing. Il product placement visivo o verbale riempie il film in molte sue scene, disturbando lo spettatore. Se si pensa al Martini o alla scena del bar in cui la vista non può non ricadere sulle casse di Peroni, ci si rende conto che effettivamente il loro inserimento, come un fulmine a ciel sereno, è stato forzato, “appiccicato” e dunque risulta ingiustificato.
Molti, forse troppi i riferimenti al film La Dolce Vita di Federico Fellini, al quale in realtà, oltre alle scene del ballo, dei travestimenti e delle lunghe serate dettate da confusione e confessioni, è collegabile un altro elemento: lo schermo è attraversato da una bambina bionda.
Ricordiamo tutti che Fellini concluse il film con una ragazzina dai lunghi capelli biondi e lisci e dal sorriso splendente incapace di comunicare con Mastroianni sulla spiaggia. Ebbene, anche qui c’è una fanciulla ma è senza sorriso; il suo volto è cupo e ricorda quello di molti altri personaggi; incanalati in una storia e in una vita che non possono sfuggire se non con la morte.
Così come un ragazzo con disturbi psicologici interrompe la propria vita suicidandosi, la stessa scelta viene seguita dalla spogliarellista Ramona (Sabrina Ferilli).
Ognuno di loro ha ritenuto che l’evasione da un’esistenza fallita e dalla monotonia schiacciante fosse l’unica soluzione in quel mondo. Paradossalmente sembra invece legata alla vita la suora novantenne che faticosamente sale le scale, pregando di arrivare in cima, senza crollare nel vuoto. Su di lei altrettante splendide riprese, oserei dire solenni. Perchè Sorrentino stavolta è voluto andare oltre i limiti: facendo un film dalle ambizioni e dalle pretese eccessive; quasi un’opera d’arte. Ma qualcuno tempo fa ci aveva già pensato.