Se di sovraesposizione estetica si può parlare allora è veramente qualcosa di ben nascosto tra le pieghe di una narrazione tra le più perfette e concise mai viste nella filmografia dei fratelli Coen. Ave, Cesare! potrebbe essere il miglior film dei fratelli terribili del cinema americano, se non fosse che lo stesso cinema dei Coen sembrava ormai aver detto tutto il possibile che c’era da dire. Miller’s Crossing, Barton Fink, Fargo, The Big Lebowski, The Man Who Wasn’t There, No Counry For Old Men e Inside Llewyn Davis hanno rappresentato una tappa fondamentale per capire la genesi e il tramonto del cinema postmoderno. La capacità di riflettere l’immagine della postumità del cinema. Tutte le storie sono già state raccontare dagli Wilder e dagli Hawks, allora tanto vale prenderle e rimescolarle in parabole noir di sapiente fattura estetica.
Ave, Cesare! nel momento di massima disillusione del cinema coeniano (Inside Llewyn Davis) si colloca come satira per eccellenza sugli studios di Hollywood in pieno maccartismo, offrendo quanto di meglio si possa vedere in termini di intrattenimento altamente sopraffino. Eleganza estetica nei movimenti di macchina, brillantezza nei dialoghi, volti noti del cinema di ieri e di oggi creano l’amalgama ultima che fa spiccare al cinema dei Coen il volo verso l’ultimo grado che li separava dalla classicità assoluta. I Coen impaginano un intrigo all’interno degli studios hollywoodiani ponendo al centro del discorso tante cellule impazzite che destabilizzano lo spettatore, mutando ogni volta il punto di vista. Le storie intrecciate dei divi diventano tasselli di una grazia compositiva sempre in fieri, lasciando a volte a bocca aperta davanti a trovate di straordinaria interpretazione spaziale.
Dalla Scarlett Johansson sirena bisbetica, al set viscontiano popolato da manichini parlanti, fino alla doppia Tilda Swinton, al George Clooney rapito dai comunisti, il Channing Tatum perfetto ballerino di tip-tap, fino alla delizia di un cammeo di Frances McDormand la cui deliziosa scena non descrivo per rispetto della sorpresa. Il bello di Ave, Cesare! è la sua solare arroganza estetica fuori dai canoni del cinema nichilista dei fratelli, quasi uno sberleffo di arguzia incontaminata, inventata da chi ha iniziato a carriera avanzata a fare cinema ad occhi chiusi potendosi persino permettere una chiosa improvvisa dove il cinema si ribalta nella ricerca della risposta finale, ben sapendo che gli indizi sono stati disseminati lungo tutta la durata della pellicola. Ave, Cesare! ha la grazia dinamitarda di Inherent Vice di Paul Thomas Anderson, offrendo la stessa esperienza enigmatica di “time-machine”. Come se l’esigenza di raccontare storie producesse una gemmazione sempre infinita di corpi vacui e leggeri nello spazio spiraliforme.