La storia d'amore tra Neil e Marina. I due si incontrano a Parigi, in seguito si trasferiscono in Oklahoma con la figlia. Segue una improvvisa rottura, Neil torna con la sua ex compagna. Dopo molte peripezie si ritroveranno davanti a Padre Quintana.
Diretto da: Terrence Malick
Genere: sperimentale
Durata: 112'
Con: Olga Kurylenko, Ben Affleck
Paese: USA
Anno: 2012
Come un Godard che filma senza il pungo chiuso, con To the Wonder Terrence Malick ridisegna il cinema, lo fa con un’opera extrafilmica che si discosta violentemente da tutto quello che si può vedere oggi a Hollywood, con l’intransigenza di chi osa l’infilmabile, con una libertà d’intenti che impressiona, una libertà persino antistorica, antica di prendere, prevedere un cinema che non c’è mai stato, urtando l’immagine, capovolgendola, irritando sempre lo spettatore con un’attesa infinita che non prelude a nulla.
Nessuno può pretendere di interpretare questo cinema così potente e pesante, così oltre la visione stessa. Malick interpreta l’esistente e lo raffigura chiudendo il cinema in bolla in cui il respiro stesso si fa terso e lacunoso, pretende di mettere in scena la vita con l’afflato di un filosofo, prende l’immagine e la strazia di una bellezza mai vista.
To The Wonder è fatto per oscurare il cinema, fonderlo con le altre estetiche, predisponendo una visione che è interrogativo e dubbio infinito.
Nessuno vuole un cinema come questo perché nessuno avrebbe mai il coraggio di farlo e di guardarlo, Malick ottiene ogni volta la quadratura del cerchio attraverso delle sillogi e delle ellissi che tendono a ricombinare l’infilmabilità di acqua-terra-fuoco-luce-tenebra.
Siamo dalle parti di Post Tenebras Lux di Carlos Reygadas, dove la narrazione viene elusa, non esiste in quanto esoscheletro che tiene in piedi una qualche dicotomia tra personaggi, determinando una narrazione che rimane sospesa. Malick inventa il cinema in sospensione, un filmare attraverso continui scarti temporali, scarti di montaggio, detriti di immagini che diventano connessioni con altre immagini mai viste. Così l’occhio deve sopportare l’insopprimibile vitalità di un quadro che si fa e si disfa ogni volta, agonizzante e angelico.
Come poteva nascere nella Hollywood di oggi un cinema così limitrofo, che tocchi le corde dell’anima di personaggi mai carnali ma solo figurali, come fossero emanazioni di un demiurgo rasserenato che tenta di esprimersi sull’insondabile verità che connatura gli esseri umani.
Vita-morte-matrimonio-figli-Dio-Fede-Cattolicesimo-fedeltà. Malick impiega due ore scarse per parlare dei massimi sistemi sforzandosi di mettere sempre in primo piano il suo modello sperimentale sulla raccolta e selezione di immagini che confutino se stesse, in una “bella confusione” che sa di cinema puro, quello che faceva Godard nei documentari sperimentali.