In un tempo imprecisato, in un luogo sperduto della campagna tedesca, una colonia penale di nani manifestano la propria follia, distruggendo il campo e uccidendo gli animali, in un crescendo di atti insensati e violenti.
Diretto da: Werner Herzog
Genere: grottesco
Durata: 96'
Paese: GER OV.
Anno: 1970
Quello che è riuscito a fare Herzog ha dell’incredibile. Un titolo che era rimasto “leggendario” e “improponibile” per decenni, un documentario che documenta uno stato distopico da cui sembra non ci sia via d’uscita.
E’ lo scenario messo in piedi (con un coraggio che fa orrore e tenerezza insieme) dal regista tedesco in Anche i nani hanno cominciato da piccoli (1970), in cui si racconta di una colonia penale di nani che, trovandosi rinchiusi in uno spazio atono e spoglio, in una deriva umana primordiale, in cui l’esistenza sembra essere solo un mero scherzo di un Dio pazzo e senza pietà, essi iniziano a distruggere tutto quello che trovano in giro, in un culmine di tragedia, farsa, scene di surrealismo che sembrano uscite da Los Olvidados (I figli della violenza) di Luis Bunuel.
Bisogna dirlo: la visione non è facile, ci si trova davanti ad una commedia dell’orrore e il giovanissimo Herzog (allora appena 27enne, al suo secondo lungometraggio di peso dopo Segni di vita) già riesce a trovare l’esatta via per congiungere i due poli della discordia cinematica, umorismo macabro e essenza tragica di una esistenza grama senza punti di fuga.
Quello del giovane Herzog è un universo visivo popolato dagli spettri di un’era scomparsa, un’era fatta di soprusi e di leggende mai scritte, solo pensate, in un patto mai violato dalla Storia, tra realtà e finzione, tra l’insolito e l’esecrabile indomito che deruba l’occhi giudicante dell’incredulità davanti ad un pezzo d’arte concettuale mantenuto in scena con un pudore visivo che fa letteralmente sfracelli.
Il cinema di Herzog ha sempre colpito l’immaginario, sferrato colpi dinamitardi al ventre dell’occidente benpensante e questo suo esperimento folle conferma la teoria del rifiuto della modernità, secondo l’ideologia di un cinema sempre precario, sempre sul crinale dell’impossibile negazione di una mutazione del visivo che non sia già in corso.
Galline con una zampa monca, una vacca da latte uccisa, nani che sembrano mostriciattoli usciti da un esperimento di crudeltà divina: in Anche i nani cominciano da piccoli, Herzog associa al surrealismo fotografato in un b/n che bagna di dissoluta dignità le immagini impossibili, e sempre negate allo sguardo occidentale, un’aurea di vitrea libertà, lavorando molto meglio qua che nel successivo La Ballata di Stoszek (1977) sul tema della crudeltà, del cinismo, della violenza urbana.
Forse non c’è nemmeno violenza in Anche in nani cominciano da piccoli, c’è solo una follia sotterranea da fine del mondo, come se un microcosmo sociale fosse stato messo a metafora del fallimento del modello d’integrazione della società tutta.
Il pessimismo radicale di Herzog si dimostra ancora una volta di una lucidità senza pari, il suo sguardo attanaglia lo spettatore, ma più che l’orrore emerge l’idea che il falò della verità e della vanità è sempre stato in atto, in cui questo cinema così puro scarnifica e inabissa la teoria dell’immagine-tempo di Deleuze.
Tutto il cinema è sul Tempo che giudica e redime, sul Tempo che guarda e non assolve i peccati, li trasfigura e li rende immortali.
Tutto il cinema è sul Tempo che giudica e redime, sul Tempo che guarda e non assolve i peccati, li trasfigura e li rende immortali.