Classe ’66, Paolo Genovese torna al cinema con un moderno dramma da camera, Perfetti sconosciuti. Le atmosfere casalinghe richiamano il precedente Tutta colpa di Freud, anche per la presenza dell’onnipresente Marco Giallini di nuovo nei panni di una padre di famiglia alle prese con i normali problemi domestici. Qui il conflitto si allarga, dalla famiglia si passa agli amici storici, con il protagonista Rocco (Giallini) e la moglie Eva (Kasia Smutniak) che invitano a cena due altre coppie: quella scoppiata Carlotta e Lele (Anna Foglietta e Valerio Mastandrea) e quella di sposi novelli Bianca e Cosimo (Alba Rohrwacher ed Edoardo Leo). L’occasione è conoscere la nuova fidanzata di Peppe (Giuseppe Battiston) che però si presenta da solo.
Il soggetto scritto a quattro mani con Fausto Brizzi di Ex e Maschi contro femmine, è già stravisto e adattato da tutti i registi contemporanei: come influisce la tecnologia nella realtà di tutti i giorni? E se in una tranquilla cena tra amici, un gioco innocente si rivelasse disastroso? Eva propone di mettere tutti i cellulari sulla tavola imbandita e rispondere a chiamate, messaggi e mail con vivavoce, in modo del tutto trasparente. Con riluttanza, i commensali accettano e nel frattempo, fuori, la luna si eclissa in una splendida nottata stellata.
Stilisticamente, Perfetti sconosciuti è molto affine ad alcuni recenti film italiani (Dobbiamo parlare di Sergio Rubini, I nostri ragazzi di Ivano De Matteo e Il nome del figlio di Francesca Archibugi) in cui un gruppo di persone si siede attorno ad un tavolo e parla, in un nuovo sottogenere della commedia che alterna momenti di ilarità a picchi di sconforto.
Interno casalingo, sera, camera fissa sulla sala da pranzo, dove si svolge l’intera azione narrativa, se non fosse per qualche capatina in cucina o nel bagno. La vicenda è coniugata al presente e le musiche di Andrea Guerra (già compositore in Immaturi di Genovese) calano magistralmente l’atmosfera di grado in grado, man mano che l’azzardo del gioco da tavolo prende vita. E così relazioni nascoste, gravidanze indesiderate, confessioni inconfessabili sono rilevate nel raggelo diffuso delle coppie. Perfetti sconosciuti nella prima metà del film scivola tranquillo e leggero, con battute e gag tra amici di mezza età che si conoscono dai tempi della scuola, per poi cambiare rotta e diventare una trappola da cui è difficile uscire, proprio a causa dell’amicizia tra i commensali.
È troppo facile nell’epoca dei social addossare la colpa dei nostri vizi alla possibilità (eccitante, come dice Battiston in una battuta tagliente come una lama) di essere scoperti, e continuare a vivere senza pensieri ogni gesto quotidiano, incurante del male che potresti fare a tua moglie, a tuo figlio, alla tua migliore amica. Il cellulare è diventato la scatola nera delle nostre esistenze, conserva i segreti più bui e ci protegge dal mondo esterno.
Gli attori meritano un plauso a parte, Mastandrea e Leo si sono invertiti i ruoli, con un Lele alle prese con messaggini viziosi da parte di una scolaretta e Cosimo sposino innamorato della giovane moglie ingenua tanto da far pietà. Battiston e la Rohrwacher si passano il testimone del consigliere comprensivo, mentre Giallini e la Foglietta mantengono una compostezza più matura e sorniona. Unica nota stonata è l’interpretazione sottotono della Smutniak, bella e glaciale come una Bellucci più giovane, ma senza espressione alcuna.
Il colpo di scena nel finale, proprio quando ormai lo spettatore, cullato nelle proprie convinzioni, non riesce a credere a ciò che sta accadendo, chiarisce il filo conduttore dell’intero film: è la natura umana a essere corrotta e corruttibile, non l’utilizzo dello smartphone senza giudizio.
Definito un “Carnage all’italiana”, Genovese da molto tempo aveva l’idea di costruire una storia attorno alla frase di Gabriel García Márquez, “Ognuno di noi ha una vita pubblica, una privata e una segreta”. Con Perfetti sconosciuti ha davvero fatto centro.