Inossidabile Cruise. Anche un giallo rosa scanzonato come Innocenti bugie (Knight and Day) di James Mangold si trasforma in una traiettoria vertiginosa a spasso tra i generi, come in una volée d’altri tempi, dove si recupera il classicismo hawksiano per mutuarlo in una congegno narrativo atto a stabilire quel fondamentale rapporto di empatia con il pubblico che rende l’intreccio psicologico mai schematico ma sempre necessario allo svolgimento della trama. Questa è composta secondo il più tradizionale degli espedienti narrativi: un agente dell’FBI in rotta con i suoi colleghi si imbatte in una giovane donna che sembra possa fare al caso suo, la usa e la protegge allo stesso tempo. Alla fine i nodi verranno al pettine come di consueto, ma le coreografie e il balletto tra i due protagonisti rimane indelebilmente il segno che il rapporto di conquista del maschile sul femminile e viceversa illumina la strada concentrica del cinema hollywoodiano per puro piacere di racconto. Anche se al tempo odierno vanno molto più di moda i pesanti intrecci nolaniani, Mangold (che poi tenterà una conferma dello stile limpido di Knight & Day con The Wolverine, non riuscendo a scalfire la dogmaticità del franchise) sottopone il pubblico ad un ripensamento dei conflitti inter-genere modificando ogni volta la prospettica di visione.
La coppia Tom Cruise–Cameron Diaz lavora a dovere. Mai una sbavatura. La screwball comedy funziona come un orologio svizzero. Le scorribande tra i due ricordano quelle tra James Stewart e Jean Arthur in L’eterna illusione (You Can’t Take It With You, Frank Capra, 1938). Tra sparatorie dozzinali e intrecci degni di una comica di Laurel e Hardy, Knight & Day è una commedia-thriller che ha il dono di non prendersi mai sul serio e di riuscire nell’impresa di non annoiare mai. Nel cinema di oggi, dove allo spettatore viene chiesto di immedesimarsi nella macchina caleidoscopica di Avatar o in gingilli come A Christmas Carol e The Adventures of Tin Tin, Mangold oppone la serie b di un dinamismo senza freni, dove la star Cruise reitera il suo “risky business” oltre le soglie estetiche degli anni ’80, rendendo possibile l’impossibile, attraverso la plasticità di una performance che non necessità del blue-screen per dimostrare la sua credibilità.
Sembrerebbero parole sprecate per un filmetto senza troppe pretese. In Knight & Day siamo al grado zero della narrazione. Viene presa una storia semplice e la si racconta. Senza alcuna sovrastruttura autoriale. In seguito Mangold tornerà a far parte della lunga schiera dei mestieranti, ma per una volta si è dimostrato capace di rendere sullo schermo un “blind date” dove i generi si fondono tra di loro e la miscela esplosiva rende la visione un incanto. Poi la critica rimpiangerà Michael Mann, James Gray, John Landis, Brian De Palma. Facciano pure. La regia necessità di uno sguardo a margine dello script, perché la rappresentazione sullo schermo di un copione anche semplicistico differenzia una regia autonoma dal punto di vista dello spettatore ad una complice di emozioni non trasferibili da un quid a un altro. Lo stile di Mangold è esistito solo su Knight & Day, ma ha dirottato lo sguardo su lidi imprevisti. Senza bisogno delle luci notturne “copyright” di manniano.