La grande scommessa

New York, 2005. L'operatore finanziario Michael Burry scopre che il mercato immobiliare americano, basato sui mutui subprime, sta per essere travolto dai titoli spazzatura. Intravedendo un sontuoso guadagno, scommette sulla crisi del sistema. I suoi investitori lo prendono per matto, ma la voce si diffonde e molti altri speculatori iniziano a seguirlo.
    Diretto da: Adam McKay
    Genere: drammatico
    Durata: 130
    Con: Christian Bale, Steve Carell
    Paese: USA
    Anno: 2015
8.1

Se Margin Call (2011) di J.C. Chandor moltiplicava la suspence con uno strutturalismo orizzontale che culminava in una dichiarazione d’impotenza del Sistema davanti alla crisi e se The Wolf of Wall Street (2014) dimostrava che tra guardie e ladri non correva alcuna differenza, camuffando il teatro del raggiro sotto una spinta feroce all’accumulo sensoriale tale da stordire un toro, The Big Short (La grande scommessa) di Adam McKay predilige la terza via: mostrare che l’accumulo dei dati e delle informazioni su una crisi sistemica fuori controllo, sintetizza un insieme di cellule impazzite, facenti parte di un discorso che non si esaurisce nel connubio perfetto tra script e visivo, ma si reitera nel tempo e nei luoghi non filmati dove il grande inganno si è consumato per decenni.

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La crisi invisibile è il grande dramma del tempo odierno. Dollari costruiti dal nulla. La capacità di chi sa interpretare e interpellare i dati per costruire “dal nulla” montagne di soldi sulle bugie di un Sistema in cancrena che ride sulle proprie disgrazie. Il film di Adam McKay sposa alla perfezione la sensazione di disagio e di annichilimento dello spettatore che nulla riesce a comprendere di come i mutui subprime inseriti in complessi pacchetti finanziari costruiti ad arte provochi la gigantesca bolla dei derivati. In pochi sono al corrente della montagna di merda che è stata costruita da menti raffinatissime per far si che chi non sa nulla di questi oggetti fasulli e incomprensibili venga travolto a sua insaputa da un effetto domino di cui non arriverà mai a comprendere gli step.

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Perché se La grande scommessa arriva dove gli altri film sulla crisi non sono arrivati è solo perché negli altri film è stato accettato il compromesso negativo che ha portato a vedere qualcosa di buono nel grande disegno della disfatta americana. Il film di McKay si ferma davanti all’indignazione, non ride davanti alle sciagure di milioni di cittadini truffati, sottopone lo sberleffo di una narrazione sincopata ad una seria requisitoria dove il dolore non viene mai coniugato verso una deriva amorale, ma viene lasciato raggrumarsi in una rappresentazione invidiabile e spietata dell’angoscia. Perché il raggiro dato dai derivati è una complessa formula algebrica usata da chi non si fa scrupoli pur di affossare un mondo dove passato, presente e futuro si confondono e dove chi ha sostenuto il sistema criminale vive nell’ombra di un anonimato pericoloso e antidemocratico.

The Big Short Left to right: Jeremy Strong plays Vinny Peters, Rafe Spall plays Danny Moses, Hamish Linklater plays Porter Collins, Steve Carell plays Mark Baum, Jeffry Griffin plays Chris and Ryan Gosling plays Jared Vennett in The Big Short from Paramount Pictures and Regency Enterprises

Il paradosso dell’accumulo vertiginoso di dati per lo più incomprensibili ne La grande scommessa evidenzia come la fine di una civiltà gloriosa come quella americana sia alle porte. Il cinema americano si trova un’altra volta a fare i conti con la propria immagine riflessa in uno specchio deformato (andate a cercare una simile requisitoria nel cinema degli anni ’00, ai tempi di Mystic River, Elephant, Munich, Syriana, Good Night and Good Luck, avrete brutte sorprese). I nodi non vengono al pettine, i giusti rimangono truffati, chi comprende i meccanismi dell’infernale macchinazione viene premiato nell’ombra, così che le credenziali sulla fine di una civiltà non rimangano alla mercé di tutti. Il cinema politico si fa anche così.

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).