Corn Island

Il confine tra Georgia e Abcasia è bagnato dal fiume Inguri. Qui vivono un anziano e sua nipote. In una piccola isola creata da una piena primaverile l’anziano coltiva il mais. L’apparente contesto di pace viene disturbato dall’arrivo della polizia.
    Diretto da: George Ovashvili
    Genere: drammatico
    Durata: 100
    Con: Ilyas Salman, Mariam Buturishvili
    Paese: GEO, GER
    Anno: 2014
8.1

Visivamente bellissimo, Corn Island (Simindis kundzuli), il nuovo lavoro di George Ovashvili, presentato in concorso al Trieste Film Festival di quest’anno e ambientato sul confine naturale tra Georgia e Repubblica AbKhazia, costituito dal fiume Inguri, dove in primavera, in seguito allo scioglimento dei ghiacci invernali, si formano delle piccole isole fertili, potenziale speranza o rovina degli abitanti della zona, che le sfruttano durante la stagione per coltivarle e trarne il sostentamento necessario per poi nutrirsi durante l’inverno, quando verranno inghiottite dall’acqua con la stessa facilità con la quale ne sono emerse. Ed è una di queste isolette a rappresentare il centro della scena, ritratta in tutte le sue possibili e magnifiche manifestazioni e colori.

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Tonalità che mutano parallelamente allo scorrere del tempo, scandendo così le ore della giornata e il variare delle stagioni, in una gamma ampia e ricchissima di sfumature che sono un diletto per gli occhi dello spettatore. Cambia il cielo, cambia se c’è la nebbia, il sole o piove, cambia la lunghezza del mais che vi viene coltivato, e ognuna di queste variazioni spicca, seppur apparendo perfettamente fluida con il resto dell’insieme, nella sua evoluzione. Questo pezzetto di terra diventa il luogo di speranza, accoglienza e sostentamento per chi vi si insedia per primo. In questo caso è un omino anziano, straordinariamente determinato, che mette per primo il suo vessillo sull’isola, a rappresentarne l’illusoria presa di possesso. Dapprima in solitudine e poi insieme alla nipote adolescente, investe tutte le sue energie, il suo sudore, il suo tempo, per renderla ospitale e idonea ad essere abitata, costruendovi pazientemente dal nulla e con il solo aiuto della forza delle proprie mani, una bellissima casa in legno, della stessa stabilità e solidità di quella dei tre porcellini.

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E’ un misto tra pena e commozione quello che si prova a vedere un uomo e una ragazzina che con la stessa identica determinazione, cocciutaggine e inconsapevolezza delle formiche spinte dalla necessità, si affidano totalmente alle risorse che una natura infinitamente più grande di loro gli offre, apparentemente inconsapevoli, di quanto il frutto di tutti i loro sforzi sia enormemente precario. Nell’arco di tempo in cui piano piano quel coriandolo diventa casa, oltre allo spettacolo che ci viene regalato dalle magnifiche immagini, che da sole sono più che sufficienti a saturare un’opera dai dialoghi quasi inesistenti, dei quali non si sente minimamente la mancanza, assistiamo all’altrettanto incantevole, genuino e armonioso accadere della vita di queste due persone, cui poi si aggiungerà una terza presenza, testarde e infaticabili, ingenue e vulnerabili, in balia della natura e del mondo.

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E ci affacciamo a una finestra privilegiata, dalla quale il regista georgiano ci offre la possibilità di godere, a partire dalla sola eloquenza delle immagini, della meraviglia di un’adolescente che vive la curiosità e la paura del proprio crescere, della gelosia di un nonno che è rimasto l’unico al mondo a poterla proteggere, dell’istintiva e umana solidarietà con la quale ci si prende cura di un estraneo che prima di tutto è un proprio simile, a prescindere da quale parte della guerra stia. Bellissima la scena in cui il vecchio si accinge a imboccare il proprio ospite. George Ovashvili cura i minimi particolari, che sono assolutamente fondamentali al fine di rendere completa la messa in scena, essenziale ma altrettanto efficace. Basti pensare alla bambola, che compare più volte quasi casualmente ma dando una forte connotazione emotiva a ogni scena in cui è presente, o alla barca, alle lentiggini della ragazza o agli occhi incredibilmente profondi di suo nonno. Tutti elementi indagati e scrutati a fondo dal regista, che abilmente li rende tutti necessari alla resa finale di un prodotto delizioso.

A proposito dell'autore

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Appassionata di cinema da sempre, tanto da considerarlo un fedele compagno di vita e una malattia ormai felicemente incurabile e irrecuperabile. Ha sempre inserito questa grande passione nel suo lavoro di psicoterapeuta, utilizzando il cinema come vero e proprio strumento terapeutico, scrivendo una tesi e articoli scientifici a riguardo e effettuando sedute di cinematerapia sia individuali che di gruppo. Ha collaborato e collabora con diverse riviste, come Cinefarm, Cinematografo.it, Artnoise.