A new vision. La fusione artistica tra la Lucas Entertainment e la Bad Robot ha generato un ibrido capace di stare al passo coi tempi. La quantità di trailer che precedono il film, relativi al merchandising targati Star Wars, rende la visione di Il risveglio della forza simile ad una nota a margine di una galassia interattiva ben più complessa, votata alla conversione di nuovi adepti, tali da fare di George Lucas un regista-executive disposto più di ogni altro alla brandizzazione del dispositivo filmico. J.J. Abrams in questo senso ha dato un tocco estetico aggiornato ad una mitologia che non ha più segreti per nessuno. L’energia con la quale il creatore di Alias e Lost ha dato nuova linfa al franchise nato nel 1977 impone rispetto e fa pensare ad un’operazione nostalgia dove passato e presente si uniscono senza più stridere tra loro.
Non entrerò nei dettagli della storia, il nuovo capitolo serve da cesura tra i due mondi, quello classico, terminato nel 1983 con Return of the Jedi e quello a venire, di cui Abrams è stato più che abile compositore. Nella sinfonia polifonica de Il risveglio della forza i singoli ingredienti vengono sapientemente dosati per dare il giusto effetto, secondo una composizione ortogonale plastica, dove il cinema di genere si riconferma la matematica spettacolare che a Hollywood riesce meglio. L’occupazione dell’immaginario ha già avuto luogo 38 anni fa, con esiti sempre commercialmente eccellenti e molto spesso con esiti qualitativi sulla soglia di una volgare sufficienza, a fronte di budget sempre oltre la reale necessità.
Questa nuova saga di Star Wars inizia sotto i migliori auspici. Chi ricorda la trilogia prequel di Lucas, The Phantom Menace, Attack of the clones e Revenge of the Sith ha ancora nella memoria la difficoltà del matrimonio tra analogico e digitale, i movimenti goffi delle creature ricostruite con la cgi, attori spaesati, il filo esile di narrazioni dove a causa di una concertazione di scene d’azione dopo mezz’ora ci si era del tutto sbarazzati. Difficile concepire come nonostante gli ingenti capitali spesi ci fosse un’incapacità da parte del cast tecnico di andare oltre la strabiliante baraonda di luci ed esplosioni. Del barocco visivo della trilogia 1999-2005 in Il risveglio della forza non si vede traccia. Scenografie classiche (che rimandano direttamente a Empire strikes back) e la fotografia (di Daniel Mindel, già stratega della luce per Abrams in Mission: Impossible III, nei due nuovi reboot di Star Trek, con la curiosa incursione punk in Savages di Oliver Stone) nettamente contrastata fanno pensare ad una visione molto minimalista da parte di Abrams, che pare abbia voluto tornare direttamente allo spirito dello Star Wars del 1977 per restituire quel senso di attesa e di pathos perduto.
Preoccupandosi di creare un tempo interno alla visione Abrams si riallaccia alla mentalità tipica di fine anni ’80, con l’obiettivo di spacciare la novità per qualcosa di antico, rivolgendosi al pubblico che ricorda bene gli episodi di fine anni ’80 e a chi è abituato alla serialità di oggi. La compattezza e l’organicità di questo primo episodio della nuova saga spingono a chiedersi se i registi dei prossimi capitoli riusciranno a determinare una trilogia finale che assuma la conformazione definitiva di un prisma complesso e completo, da avvicinarsi alla trilogia-simbolo (dal 1977 al 1983) di ogni saga a venire. Il seme lasciato da Abrams è basato sul rispetto che si deve ai personaggi, agli spazi, ai tempi. Lucas ha lasciato il testimone a un cineasta che ha ridefinito le regole della saga, partendo da una struttura genetica già definita. Ora bisogna vedere se la nuova creatura è capace di stare in piedi da sola.