Alice vaga nel paese delle meraviglie, in uno stato di continua sospensione tra fantasia e realtà.
Diretto da: Jan Svankmajer
Genere: animazione
Durata: 86'
Paese: CEC, SVI
Anno: 1988
Liberamente ispirato al celebre romanzo Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll, Qualcosa di Alice (Něco z Alenky) è il primo lungometraggio del regista di animazione ceco Jan Svankmajer.
Girato nel 1988, è rimasto a lungo inedito in Italia per colpa della censura politica che ha martoriato i suoi lavori per anni, ora è disponibile solo in versione Dvd con sottotitoli inglesi.
Considerato tra i giganti del cinema d’animazione contemporaneo e definito dal collega Milos Forman “un incrocio tra Luis Bunuel e Walt Disney”, Svankmajer utilizza nelle sue pellicole (nel corso della carriera ha diretto più di trenta opere tra film e cortometraggi) un’angosciosa mistura tra live action e tecniche d’animazione realizzate con lo stop motion.
Quella di Svankmajer è una forma filmica che viene accompagnata da un immaginario surreale e grottesco che pare provenire dagli antri più bui della nostra mente, e che magicamente il regista ceco imprime sull’immagine cinematografica.
Il suo personale riadattamento dell’opera di Carroll, pur seguendo le linee guida del famoso viaggio della protagonista Alice (interpretata dalla giovane Kristyna Kohoutova), si sviluppa in un’atmosfera macabra accentuata da un utilizzo del sonoro inquietante, con la creazione di effetti opprimenti, con gli oggetti scenici che ogni volta sfiorati provocano stridore e fastidio.
Alternando con estrema visionarietà onirico con logico, reale con irreale, Svankmajer immerge la sua Alice in un trip infernale che sfiora a tratti l’horror.
Il Bianconiglio è una creatura impagliata che mangia segatura, e la cosiddetta wonderland si raggiunge tramite una vertiginosa discesa in ascensore. Tutto il mondo di Alice è stravolto secondo il credo di Svankmajer.
Le creature che conosciamo dal Cappellaio Matto alla Lepre Marzolina assumono nuove forme, più terrificanti, abitanti di un microcosmo creato grazie alla tecnica della stop motion, con gli elementi di un universo meccanico, plasmabile solo dall’estro geniale del suo autore.
Un paese delle meraviglie quello di Svankmajer, dove gli oggetti inanimati prendono vita, la morte è superabile perché tutto è ricucibile (nel senso letterale del termine), i corpi feriti ritornano, ripetendo ossessivamente le stesse azioni, diversamente ricomposti, ma comunque ancora pieni di materia perché immateriali, privi di una vera essenza e quindi pieni di tutte le forme possibili.
Un paese delle meraviglie spietato, dove Alice è protagonista e narratrice onnisciente della sua avventura, dove lei stessa si sente isolata e intrusa perché umana, fatta di carne e sangue. Non è un caso se, l’unico modo per Alice di entrare nel paese delle meraviglie sia assumendo le sembianze dei suoi residenti: Alice si ingrandisce e si rimpicciolisce, diventa bambolina e gigante pericoloso.
Pur con pochissimi dialoghi, Svankmajer riesce a dire molto, soprattutto rendendo col suo surrealismo visivo, il paese delle meraviglie (o dell’incubo), una lucida metafora del mondo adulto, chiuso in sé stesso e incapace di accettare l’altro (di particolare rilievo la scena del processo farsa), ma capace di respingerlo e di ferirlo, di essere landa di terrore invece di meraviglia.
E nell’enigmatico finale, Alice diventa il regista stesso colui che, attraverso la sua eroina femminile, ha immaginato quel tipo di mondo, sperando di tenerlo ingabbiato nei cassetti più oscuri dell’inconscio.