Max Renn è il programmatore di una piccola emittente televisiva che si occupa di intrattenimento per adulti. Un giorno scopre per caso una trasmissione sconosciuta, chiamata "videodrome".
Diretto da: David Cronenberg
Genere: horror
Durata: 87'
Con: James Woods, Deborah Harry
Paese: CAN
Anno: 1983
Videodrome (1983) di David Cronenberg riguarda la perdita. Di senso, di struttura, di corporeità, nel delinearsi di una forma di linguaggio totalmente camuffata e intrinseca al dubbio sul futuro dell’immagine.
Il film di Cronenberg parte dall’assunto di Marshall McLuhan “il medium è il messaggio”. Il regista canadese prende questa massima per affrontare uno scontro tra ciò che è visibile all’interno del mosaico percettivo e ciò che è solo nascosto, e quindi manipolato, nella sfera anonima della visione catodica.
Il protagonista Max Renn indaga sul segnale televisivo “videodrome”, conosce una realtà dove tutto è possibile, dove le perversioni più insane diventato realtà e tenta di scoprire l’origine della sua forza tellurica. Ma non ce la fa, perché non appena si avvicina troppo, ne rimane scottato e segnato per sempre.
La sconfitta cognitiva di Max Renn è l’inizio dell’incubo di Cronenberg, che si dipana in una struttura che diventerà poi l’esatto contrario-speculare-fifrattivo di quella di eXistenZ (1999): la perdita progressiva della percezione, con il dominio definitivo del irrealtà catodica.
La fantascienza di Videodrome è una visione limitrofa, underground, una messa in moto del motore di una follia intrinseca al quadro, per un cinema che intende squarciare il velo della realtà, abbandonandosi completamente ad un onirismo del tutto visivo e privo di fondamenti dialettici.
Il cinema di Cronenberg in Videodrome si perde, si auto annulla in visione di sconsiderata violenza, concependo la visione come una guerra contro lo spettatore, come se Cronenberg volesse aprire i suoi occhi. “Il dormiente deve svegliarsi”. Così facendo Cronenberg si apre ad una fantapolitica dell’allucinazione che diventa malattia cognitiva, paranoia, intrusione del perturbabile nel nodo invisibile della disputa tra l’irreale e il reale.
Videodrome simula la morte come una fosse una visualizzazione della fase REM: disponendo la scenografia come una matrice cibernetico-cerebrale, affondando i colpi nella carne politica della società, di cui Max Renn è rappresentazione.
Videocrome di Cronenberg si apre e si chiude su una sostanziale unicità di sguardo, di cui non si noterà più traccia in futuro, tranne che nella videoarte di Tetsuo di Tsukamoto (con cui il cinema in senso stretto a ben poco da spartire), un po’ come Arancia Meccanica (1971) di Stanley Kubrick (cui Andy Warhol si riferì dopo aver visto l’incredibile opera di Cronenberg): due film unici, il cui stile non è mai stato ripreso da nessuno, perché talmente particolare, lucido, oltraggioso, infinito, da essere del tutto a prova di imitazione.
In seguito l’immaginario di Cronenberg cambierà in modo talmente radicale che i successivi thriller paranoici degli anni ’00, da Spider (2002) a Cosmopolis (2012), non raggiungeranno, per forza di cose, la radicalità delle opere precedenti.
Un cineasta come Cronenberg all’epoca (anni ’70- ’80) fece grande il genere horror, con potenti visioni che prendevano la realtà costruendoci sopra potenti parafrasi immaginifche che proponevano storie credibili, dove l’orrore si insinuava come una metafora dei desideri e degli incubi più reconditi dello spettatore. Vedendo come è ridotto l’horror oggi, patinato, iper violento e fintissimo, viene da pensare che il genere abbia operato una viva contaminazione con i media, ma abbia smarrito la capacità di far pensare.
Non è aggredendo blandamente il pubblico che si ottiene la sua fiducia, ma proponendo una radicalizzazione dell’immaginario. Cronenberg c’era riuscito, con il suo horror geniale, ascensionale, quasi liturgico. Se il cinema horror di oggi ha perso l’arte della liturgia, forse vuol dire che bisognerebbe tornare ad una povertà di mezzi e aprire qualche libro in più.