E venne il giorno del riscatto di M. Night Shyamalan, il regista de Il sesto senso, dopo una miriade d’epici fallimenti: serviva la produzione del Jason Blum di Paranormal Activity – e figliocci found footage – per rimettere sui binari di una sana, malvagia normalità il talento del regista d’origini indiane, da tempo smarritosi dietro vagheggiamenti e romanticherie in grande stile (L’ultimo dominatore dell’aria, After Earth). The Visit non è un ritorno in pompa magna: per fortuna. Horror dal budget “contenuto” di 5 milioni di dollari, sceglie l’aspetto paradocumentario, caratteristico dei film della Blumhouse, ma come meno te l’aspetti ne stravolge senso, registri, strategie.
Con l’inseparabile telecamerina, la quindicenne Rebecca indaga sull’allontanamento avvenuto anni or sono tra la madre – ora separata – ed i genitori, specie ora che i nonni hanno chiesto, dopo anni di silenzio, di vedere per la prima volta i nipoti. Insieme al fratello Tyler, poco più giovane, la ragazza si appresta a passare una settimana dagli adorabili, sconosciuti vecchietti. Le premesse sono di biscotti e coccole, gli sviluppi indigesti e sinistri.
Avviato come il più classico dei poco promettenti found footage d’ultima generazione, The Visit se ne distacca per molte ragioni. La più banale – e consolatoria – è la sollecitudine con cui, passati poco meno di venti minuti, si cominciano ad intravedere le schegge di paura, a dispetto delle interminabili attese del filone dei “film in cui non succede niente”. Rispetto agli omologhi di genere, la cornice è credibile e le telecamere – comprese quelle di Skype – sono piazzate credibilmente. Ancora, gli episodi terrificanti sono ambiguamente profilati come fatti orrendi a cui seguono spiegazioni “normalizzanti”: la nonna è strana perché è malata, il nonno fa cose bizzarre perché ha quel problema. È questione di punti di vista: c’è qualcosa di raccapricciante, “alieno”, anche nella routine.
Se questo semplice buonsenso artigianale sarebbe bastato al regista per sfornare un found footage migliorato, è il sesto senso visionario a far scattare, poi, un’operazione più sottile ed autoriale: dalle scene della ragazza che s’infila nel forno, che alludono alla fiaba nera di Hansel e Gretel, agli inserti “paesistici” o in dissolvenza che s’inseriscono nel montaggio di Rebecca, decostruendo la logica di finto documentario con l’invasione di campo (implicita) del regista storyteller; dalla sana ironia che stempera il realismo della presa diretta (di contro alla seriosità autoimposta di altri colleghi), alla clamorosa svolta slasher, che semina le false piste ed inonda di adrenalina e sangue il finale. Tutto si rimesta in un pentolone dai sapori un po’ forti, o forzati, che però rianima quel gusto un po’ rancido dei finti documentari dell’orrore, corrente quasi esangue ma in voga per ragioni commerciali.
Deviante fino al thriller surreale, The Visit consente a Shyamalan di sterzare dalla pericolosa china d’una carriera con troppi passi falsi, senza chinarsi agli stereotipi di genere, provando – piuttosto – a generare qualche variazione sperimentale senza dimenticare il comandamento di base della paura.