Patinato ed estetizzante. Ma anche impavido, coraggioso, anticonvenzionale. Il terzo lavoro dietro la macchina da presa di Angelina Jolie (dopo Nella terra del sangue e del miele e Unbroken) è sospeso a metà tra bellezza formale e psicosi a due. Le “scene da un matrimonio” dei Brangelina, mascherate da omaggio al cinema francese degli anni Settanta, alla letteratura americana di Ernest Hemingway (Il giardino dell’Eden) e ai demoni di Scott e Zelda Fitzgerald, sono la romantica e disperata confessione di una donna pienamente consapevole della propria posizione di diva e sex symbol, che non teme di mostrare apertamente una quotidianità all’insegna della superficie, della noia e del desiderio di guardare e di essere guardata.
Non c’è dubbio, infatti, che il voyeurismo sia il tema portante di un film scritto e realizzato per se stessi e non per il pubblico. L’idea di cinema e di mondo che si respira in By the Sea è quella, sinceramente alterata, della metà femminile della coppia più invidiata, chiacchierata e potente di Hollywood. Il suo è un universo cinematografico fuori dal tempo, autonomo da mode e tendenze, talmente impossibile nella sua ricerca affannata di classicità da rasentare il comico involontario. Ciononostante, ha la forza di possedere un punto di vista e uno sguardo. A tratti sgangherato, ma pur sempre genuino. E abbattendo la barriera che separa schermo e spettatore, si pone nei panni di quest’ultimo mentre spia un’intimità che le è appartenuta ma che è si è sempre più appassita.
By the Sea è un’opera che rifiuta ogni ricatto da blockbuster e insegue il sogno di demolire tutto ciò a cui il postmoderno ci ha diseducato: rimanendo eroicamente in bilico tra sublime e ridicolo, la regia della Jolie recupera il gusto semplice di riprendere la bellezza immobile dei gesti, dei corpi, dei dettagli. Rimproverata di non possedere ancora un’autoralità registica davvero personale e autentica (ma in quanti, suvvia, ce l’hanno davvero?), Angelina scava dall’interno nell’inconsistenza dei sentimenti e pugnala la malsana idea che il primario dogma di Hollywood debba essere l’intrattenimento, sempre e ad ogni costo. Prendendo rischi che osannati cineasti europei e americani non hanno mai avuto il coraggio di assumersi. E, soprattutto, mettendo a nudo i propri limiti di artista e di femmina.