Prima di cominciare a recensire Pan Viaggio sull’isola che non c’è è necessaria una premessa: io amo Joe Wright. Quanti registi possono dire di aver esordito con un capolavoro come Orgoglio e pregiudizio (2005), alzato il livello con Espiazione (2007), cambiato completamente genere con un thriller come Hanna (2011), fatto un intermezzo con Il Solista (2009) e poi coronato il tutto con il sontuoso adattamento di Anna Karenina (2012)? Ma quando si inanellano cinque film di questo calibro e poi ci si butta in un genere completamente diverso, le aspettative sono altissime e i pericoli sempre in agguato. È un dolore fisico dover ammettere che Pan non è un bel film. Anzi, Pan è un film orrendo, bruttissimo, noioso, cretino. Scrivere ognuno di questi aggettivi mi costa uno sforzo indescrivibile; ero già pronta a difendere il signor Wright a spada tratta contro ogni possibile accusa (cosa che ho sempre fatto, soprattutto con Espiazione e Anna Karenina, entrambi misteriosamente massacrati dalla critica) ma questa volta dovrò rinunciare alla mia missione evangelica e lasciare che Pan venga maciullato da pubblico e giornalisti.
Veniamo, tristemente, al dunque. Pan è una specie di prequel alla storia classica, e gran parte dei problemi che affliggono questo fim nascono proprio qui. Peter Pan è un bambino che non vuole crescere, fine, punto, caput. Non sentivamo alcun bisogno di vedere tutta la storia prima dell’Isola che non c’è, in particolar modo se questa storia è uno strano mix fra infanzie alla Oliver Twist e complessi da bambini prescelti alla Harry Potter. Già visto, già fatto. Peter, abbandonato dalla madre in un orfanotrofio Londinese in piena Guerra Mondiale, viene rapito dal pirata Barbanera e trasportato su un’isola che non c’è completamente dilaniata da giganteschi scavi minerari in cui viene estratta la celeberrima polvere di fata. Se la memoria non mi inganna, nel classico Disney la polvere di fata veniva spolverata sulle testoline dei Darlings per volare. Qui il regista si prende una grossa licenza poetica e decide che nella sua Isola la polvere è in realtà una pietra con un nome pseudo scientifico in grado di far ringiovanire e Barbanera, dopo averla tagliata, provvede a sniffarla senza ritegno. Il leggendario e drogatissimo pirata è interpretato dall’attore più impegnato di Hollywood, Hugh Jackman che, dopo Les Misérables (2012), sembra particolarmente ben disposto a prestare la sua voce per simpatici numeri canori. E anche in Pan, guarda caso, compare sullo schermo in pompa magna cantando una versione a cappella di Smells like teen spirit dei Nirvana, con coro di orfani minatori. Il motivo rimane ignoto e forse è meglio così.
Il resto del film procede in un guazzabuglio di CGI mal fatta, riprese vertiginose che sembrano inquadrare i protagonisti sempre dall’alto e altre scene inserite solo per dare un senso al 3D (oggetti che volano in faccia allo spettatore, persone che volano in faccia allo spettatore, la pelata di Hugh Jackman in faccia allo spettatore, eccetera eccetera). Immancabilmente compare James Hook (con due mani) interpretato da Garrett Hedlund nella peggior prova attoriale della sua vita: passa il tempo a digrignare i denti, urlare, infilarsi un cappello rubato a Indiana Jones e a provarci con Giglio Tigrato. La bella indiana è interpretata da Rooney Mara, ottima attrice il cui pallore preoccupate mal si sposa con la nazionalità del personaggio in questione. In tutto questo non ho ancora parlato del giovane attore che interpreta Peter. Si tratta del giovanissimo Levi Miller, probabilmente anche bravo, ma schiacciato da un ruolo talmente idiota che risulta impossibile notarlo. Sarete troppo impegnati a piangere mentre ricordate la perfezione del classico Disney. Consigliato a chi soffre di vertigini e agli haters di Joe Wright: troverete pane per i vostri denti.