Il termine Rams (Hrútar in lingua originale) significa propriamente “arieti”; ed è infatti uno dei due cardini su cui poggia Rams Storia di due fratelli e otto pecore, il secondo film di finzione di Grímur Hákonarson, vincitore a Cannes dell’Un Certain Regard e, agli Oscar 2016, rappresentante dell’Islanda (la cui produzione cinematografica è entrata in cinquina sono nel 1992, con Children of Nature di Friðrik Þór Friðriksson). L’altro elemento che lo definisce è la relazione fra i due personaggi principali, Gummi (Sigurður Sigurjónsson) e Kiddi (Theódór Júlíusson), attempati fratelli pastori che, pur abitando a una decina di metri l’uno dall’altro, non si parlano da 40 anni, limitandosi a comunicare solo quando strettamente necessario e unicamente attraverso messaggi recapitati da un cane fedele a entrambi. Quando Gummi scopre che un maestoso montone di Kiddi è affetto da una malattia contagiosa e incurabile, denuncia tempestivamente il fatto, col risultato di inasprire l’astio di lui nei suoi confronti e di spingere il consiglio delle autorità sanitarie ad imporre la soppressione di tutti i capi di bestiame della valle, accompagnata dalla più minuziosa pulizia degli ovili, nell’ottica di poter ripopolare il territorio nel giro di qualche anno.
L’opera di Hákonarson, autore anche della sceneggiatura, trasmette con efficacia l’entità del trauma che sconvolge la vita di una piccola popolazione montana, incastonata in una conca asciutta e ventosa, dal fascino arcano, disperata di fronte a quest’improvvisa sottrazione che, seguendo i moti dell’istinto, si tenta di aggirare nascostamente. Ed è proprio quest’imperativo morale a smuovere gli animi dei due fratelli, spronando ad accudire l’uno quando ubriaco, collerico e purtuttavia indifeso, letteralmente nudo di fronte ad una risoluzione che non vuole accettare, a correre senza esitazione in aiuto dell’altro quando si profila all’orizzonte la speranza di preservare la razza del luogo, la quale ormai non è più mera fonte di sostentamento, bensì patrimonio familiare custodito con gelosia. E’ scelta singolare e significativa che questo scarto ascendente, questo rinnovato calore affettivo, venga collocato nel periodo più gelido dell’anno, quando il clima stesso si irrigidisce e cade fitta la neve; ma, si badi, anche, specificatamente, nella parabola natalizia.
Rams è un viaggio di redenzione cui si assiste in una condizione di piacevole coinvolgimento, ritrovandosi ad empatizzare con questi spiriti dagli sguardi profondamente espressivi, membra vive ed autentiche di una cultura che si avvicina al pubblico mondiale grazie ai sentimenti condivisi che li guidano, il cui apice e coronamento viene raggiunto nel memorabile epilogo, sintesi sincera e perfetta cui tutta la vicenda tende fin dal principio. Aiutano ad assimilare questo messaggio pacifico lo stile registico, pacato ma per nulla zoppicante, sereno e a tratti ironico, e la preziosa colonna sonora di Atli Örvarsson, che alternandosi fra le tastiere dell’organo, della fisarmonica e del pianoforte, e accompagnato da qualche sparuto arco, contribuisce alla realizzazione di un’architettura semplice ed esemplare.