Kate e Geoff, anziani coniugi, vivono serenamente nella loro casa fuori città. Si appropinquano i sobri festeggiamenti organizzati per i 45 anni di matrimonio, che vorrebbero colmare il vuoto lasciato da quelli della quarta decade, non celebrati a causa di un periodo di cattiva salute. Con tempismo perfetto, la notizia del ritrovamento del corpo di Katia, fidanzata di Geoff prima dell’incontro con Kate, produce un terremoto interiore che offusca la trasparenza del loro rapporto, minacciando certezze che si davano per incrollabili e al contempo stimolando una riflessione personale sull’affetto donato per così lungo tempo ad una persona che, pur nella pressoché inevitabile routine giornaliera della senilità, si sente di amare ancora.
Andrew Haigh arrivato con 45 anni al suo terzo lungometraggio si fa ispirare da un soggetto di David Constantine, architettando un dramma pacato, incentrato quasi interamente su una singola relazione: bastano due anime a saturare la scena, incastonata in una dimora comune la cui placida dimensione quotidiana si concretizza in gesti e atteggiamenti semplici e significativi. Il clima di fatto viene perturbato solo attraverso lenti sviluppi, una misurata corrosione intima, un progressivo accumulo di dolorose scoperte. Risulta pertinente in un tale contesto la scelta di distaccare l’eloquente fisicità di Charlotte Rampling dalla realtà circostante, compresa l’imprescindibile presenza di Geoff (Tom Courtenay), attraverso un uso sapiente della messa a fuoco, che “in sordina” sprona lo spettatore a osservare da vicino il malessere che sommessamente sta sfinendo la protagonista, forse inconscia delle similitudini che in fondo non smettono di legarla al marito, vittima dal canto suo di ricordi riesumati all’improvviso che l’indispongono a vivere quelle ore in solarità.
I primattori, a buon diritto premiati entrambi quest’anno a Berlino, restituiscono un cuore e una consistenza squisitamente umani ai due sposi, dotandoli di personalità suggerite senza sovrabbondanza episodio dopo episodio, come indicato dalla sceneggiatura del regista stesso, il quale segue questa parabola matrimoniale, perfettamente concludente, con cadenza regolare e ritmo posato, spesso concedendo largo spazio a longtakes che sottolineano la pregnanza di ciò che avviene nelle inquadrature: pensieri, parole e fatti le cui ragioni non necessitano di ulteriori commenti al di fuori della discreta musica intradiegetica e del corredo oggettuale ospitato nell’abitazione. Nonostante la moderata incisività dello stile, è evidente come Haigh, ricorrendo ad un apprezzabile grado di equilibrio ed eleganza, abbia saputo dotare 45 anni di un buon numero di sequenze distinte, inserite con pertinenza in un paesaggio chiaro, lineare e mai banale.
Qui potete trovare la video recensione di Raffaele Lazzaroni su 45 anni