Come raggiungere il surplus effettistico senza intaccare la forma canonica di un’emozione in transito, raggelata un attimo prima di diventare elegia di un mondo perduto. Zemeckis con The Walk mette ancora una volta tutto il suo estro creativo per raccontare una storia ai limit dell’incredibile, facendolo con una partecipazione emotiva, allo stesso tempo controllata e feroce. Gordon-Levitt è alla sua migliore performance e già si sente odore di Oscar per una mimesi che deve essere costata cara all’attore. Il film è concessione alla meraviglia pura, intrinseca al quadro di riferimento, che porta l’operazione su un livello superiore. Eppure la sensazione che rimane, alla fine della proiezione è la ruffianeria.
Qualcosa deve essere andato storto nella concezione di una visione che trascina lo spettatore verso uno stato di estasi estetica difficilmente raggiungibile prima d’ora, rimanendo nel campo della rappresentazione delle vertigini. The Walk è la somma di uno stato deliberante di veridicità scenica in contrasto con l’assurdità dell’obiettivo che si prefigge il suo tarantolato protagonista, che fa di tutto per risultate antipatico pur recitando alla perfezione il ruolo dell’idiota di genio, come da copione secondo il modello Forrest Gump. Eppure, basta arrivare ai 10 minuti in cui la scena diventa veramente bollente, quando la squadra capitanata da Phikippe Petit istalla il cavo sui cornicioni delle Torri Gemelle, per raggiungere quello stato di terrore puro, l’emozione autentica di un’esperienza encomiabile che stringe la gola e agghiaccia attraverso la perfezione compositiva. Qua Zemeckis torna a dimostrare di essere stato il regista di Back to the Future e Who framed Roger Rabbit.
La performance in sé si accompagna però ad un’enfasi, un trasporto emotivo tale, da declinare in parabola ascetica e solenne un thriller vertiginoso che avrebbe necessitato di una scrittura più affilata per sopravvivere a quelle altezze. E’ tutto troppo facile per Petit, che passeggia lungo il cavo delle due Torri, incurante del vuoto sottostante. Lo script di Zemeckis si adagia sul fondale del prevedibile nutrendo lo sguardo di un ottimismo conciliante che nulla ha a che vedere con la filosofia anarcoide di un personaggio abituato ad andare contro tutte le regole imposte da una società continuamente sfidata e mai compresa.
The Walk ribalta sicuramente tutto lo Zemeckis indigeribile della fase digitale (Polar Express, La leggenda di Beouwlf, A Christmast Carol), riallacciandosi a Flight, thriller morale fallimentare basato su una delle storie più avvincenti degli ultimi anni, e per un po’ riesce a portare lo spettatore su una dimensione di fascinazione assoluta, anche perché l’inizio, con l’introduzione di Gordon-Levitt, con il punto di domanda “perché?” è un grande pezzo di cinema, dove Zemeckis per un attimo si traveste da grande narratore circense. L’incanto dura na mezz’ora, in seguito il moto e luogo del suo cinema diventa un soliloquio di rara pedanteria e della elegìa del tempo perduto non si sa proprio cosa farsene.