Il tedesco Anton Corbijn, che l’anno scorso aveva brillato offrendo al mondo l’ultimo lungometraggio con Philip Seymour Hoffman protagonista (La spia – A Most Wanted Man, 2014), quest’oggi si focalizza sui giorni cruciali che videro il fotografo Dennis Stock (Robert Pattinson) tentare di ritrarre per la rivista Life (da cui il titolo), in modo sincero e persuasivo, l’attore emergente James Dean (Dane DeHaan), fausta promessa statunitense. All’alba della première de La valle dell’Eden (1955) di Elia Kazan, che gli frutterà la prima delle due nomination agli Oscar, il futuro idolo è un giovane poliedrico e imprevedibile, sfrontato e tendenzialmente irriconoscente. E’ in attesa di convolare a nozze con la nota amante Anna Maria Pierangeli (Alessandra Mastronardi) e di entrare forse a far parte del cast di Gioventù bruciata (1955), di Nicholas Ray. Diventare una star, calpestare il red carpet di fronte ad un manipolo di giornalisti sguinzagliati dalle più diverse testate, assecondare certe regole chiave del mondo produttivo, non sono aspirazioni in cima alla scala delle sue esigenze: si accontenta di recitare bene e trascorrere giornate serene “dove tutto finisce”, ossia nella tenuta dei suoi zii, in Indiana.
E’ un ribelle, un soggetto autentico, non costruito; ma anche uno “stronzetto”, o “solo merda” a seconda dei casi e delle opinioni. Non dimentica neppure di crogiolarsi in letture malinconiche, quando riesce, con apparente “facilità”, a dedicarsi, anima e corpo, agli affetti familiari. Alquanto diversamente da Dennis, che fatica ad entrare nelle sue logiche, a convincerlo di come arricchire il suo portfolio possa giovare enormemente ad entrambi, e che allo stesso tempo riceve molto da questa grande figura che invita, timidamente quando sprovvisto di copione, ad apprezzare quello che si ha, quello che offre la vita. Considerando la brevità della sua esistenza, parole simili incarnano perfettamente l’ineluttabile ironia della sorte.
Tutto ciò, su uno schermo dalla pregiata ricostruzione scenografica, viene mostrato da un DeHaan pacato e privo di sbavature, per quanto da pochi anni nel mondo della settima arte. Peccato che la sua prova di rilievo sia appesantita da un mood afflosciato, da uno stile addomesticato, che segue le fila di una sceneggiatura qua e là davvero faticosa, dal respiro dilatato all’eccesso, in cui l’esitazione diviene un vero topos, fuggendo una rappresentazione di stampo convenzionale, ma finendo altresì coll’oscurare un prodotto che si sarebbe potuto innervare di linfe più vivaci, aggiungendo all’innegabile cura nel riportare alla luce con fedeltà (anche iconografica) vicende realmente accadute, un certo grado di piacere narrativo, fortunatamente sostenuto anche grazie ad alcune riuscite apparizioni: a titolo esemplificativo, si noti l’aura quasi sacrale e vagamente minacciosa che avvolge Ben Kingsley, aka Jack Warner.
Qui potete trovare la video recensione di Raffaele Lazzaroni su Life