È artificiale ma intelligente il debutto dietro la macchina da presa di Alex Garland, Ex_Machina al quale interessa catturare, più che fare l’impresa: il tema, epico e stravecchio, si nutre di suggestioni ottocentesche (Frankenstein, il Golem) aggiornate in chiave postmoderna, tra colossi dell’informatica e cibernetica super-avanzata; la science-fiction innesca da parte della scienza i consueti corto-circuiti etici, mentre la fiction si limita a funzionare, sconcertando più nei dettagli che nel pronosticabile scioglimento. Pure, questa trappola per tòpoi è una macchina dalla carrozzeria seducente e dalle studiate decelerazioni, in grado di prendere l’abbrivo sia come viaggio visivo che come percorso mentale, rifornendosi quanto basta d’ambiguità e slanci thrilling.
È il giorno fortunato di Caleb (Domnhall Gleeson), forse: ha vinto il concorso aziendale e passerà una settimana nel laboratorio-fortezza del mitico, geniale fondatore della corporazione, Nathan (Oscar Isaac). Un elicottero lo scorta nella rocca di vetro e circuiti, in cui il boss lo istruisce amichevolmente, tra una birra e un volemose bene, sullo scopo dell’incontro: Caleb dovrà interagire con Ava (Alicia Vikander), femmineo androide d’ultima generazione, per metterne alla prova l’intelligenza artificiale, anche emotiva. Compito arduo, ma abbordabile – con due complicazioni: le manovre di Nathan, “quel gran genio del mio (finto) amico”; l’abbordaggio sentimentale di Ava, donna che visse da robot. Diventa storia d’amore e coltello, in cui la spunterà il miglior cervello.
Vagamente affine a Never let me go (Lasciami entrare) per l’atmosfera livida e certe convergenze tematiche, il debutto registico di Garland, già sceneggiatore fidato di Danny Boyle, trasporta in una dimensione disturbante, una prigione trasparente, risonante, in grado di esalare un algido senso di follia alla Solaris: corridoi che s’avvitano, pareti che scompaiono, porte che si serrano, luci ora raggelanti, ora accalorate. Il tutto, peraltro, è immerso nella natura, in uno dei tanti paradossi che provano ad avvicinare l’artificiale ed il naturale, all’insegna del fatto che in entrambe convivano costruzione e caso, programmazione ed eventualità. Ai fumosi discorsi del guru alticcio Nathan\Isaac s’affidano queste bollicine filosofiche.
Di là, comunque, delle possibili traiettorie di pensiero, la vera materia grigia attivata da Ex_Machina consiste in quest’atmosfera cinerea, inafferrabile, fumosa, che pervade ambientazioni ed azioni, al punto che per provare a risolvere certi misteri vale più l’occhio artificiale del circuito interno di sorveglianza che l’ingannevole percezione degli occhi. Il crescendo è da noir fantascientifico, un artificio di genere un po’ forzato, senza il fuoco dell’inquietudine che anima gran parte del racconto, ma allo stesso tempo coerente alla ricerca di un umore piuttosto che di un ovvio tragitto o di una banale risposta. Vale la pena vederlo e rivederlo, allarmandosi (anche moralmente) più che sorprendendosi.