Partiamo da due maledetti geni: da una parte, il maestro Billy Wilder, ovverosia l’uomo che ha creato una cultura condivisa contaminando non solo tutto il Cinema di lì a venire ma quella che oggi è universalmente definita “cultura occidentale”, l’austriaco in grado di “far sognare” il popolo americano, risollevandone il suo umore e forgiandone nella mente lo spirito del Sogno che ha reso possibile l’esplosione degli Stati Uniti d’America; dall’altra, Raymond Chandler, meglio conosciuto come lo scrittore divenuto padre del Noir mondiale, niente di più e niente di meno. Billy e Raymond hanno scritto insieme la sceneggiatura di La fiamma del peccato (Double Indemnity, 1944 ).
Apparirà evidente a chiunque abbia letto i romanzi di Chandler il suo graffio sulla pellicola, la sua ironia corrosiva, riconoscendo immediatamente il marcio che circonda le vite degli uomini. Inoltre, apparirà evidente l’intervento tardivo di un senso morale, quando ormai non resta nient’altro da fare che morire. La torbida vicenda di Double Indemnity è raccontata da Walter Neff (Fred MacMurray), il suo protagonista, in prima persona, scelta che se da un lato potrebbe togliere qualcosa alla suspense, dopotutto permette a Wilder di lasciare andare avanti Chandler con i testi della voce fuori campo, di sfruttarlo in pieno, di servirgli su un piatto d’argento la possibilità di creare un videolibro. Chandler crea, Wilder si occupa più che altro del lavoro sporco, con una regia dimessa che è perfettamente funzionale al genere. In questa maniera, restando nascosto e impercettibile, firma un capolavoro del cinema noir, consolidandone gli archetipi: il tema della fatalità che sentenzia il destino delle persone ma, soprattutto, il ritratto implacabile della femme fatale, meschina e seducente, interpretata dall’indimenticabile Barbara Stanwyck.
Il noir è un genere, ma fare un film di genere non significa adeguarsi. Anzi, il noir è quel genere in grado di affondare la lama nell’animo umano, in grado di descrivere un mondo e una società in tutte le sue sfaccettature, senza freni inibitori: partendo da La fiamma del peccato per arrivare all’ultimo film di Paul Thomas Anderson Vizio di forma (2014), passando per i capolavori con il detective Marlowe come Una donna nel lago di Montgomery o Il lungo addio di Altman, il noir non si ferma mai alla “storia”, per quanto possa essere complessa e intricata. La funzione del noir è quella di mettere alla berlina un contesto corale, sviscerarne le contraddizioni, individuarne il declino etico e sottolinearne la conseguente involuzione.
Tornando a Wilder, il suo cinema presenta due facce, quella brillante delle sue commedie più famose e quella più oscura di opere come Double Indemnity. Ma è soltanto una prima impressione: la faccia è sempre una sola, formata da due profili distanti e differenti che convergono in un’unica cinica espressione. La sua grandezza risiede nel fatto di essere stato lui a costruire una tradizione di genere, a realizzare dei modelli di riferimento: se quando siamo di fronte a una commedia riuscita pensiamo inevitabilmente a L’appartamento o ad A qualcuno piace caldo, quando riguardiamo Double Indemnity pensiamo a come il cinema di oggi sia stato in grado di aggiornare il proprio sguardo sulla contemporaneità nel corso del tempo ma sia rimasto, comunque, inevitabilmente debitore dei suoi padri: Raymond inventa, Billy realizza.