Theodore vive da solo in un appartamento, dopo essersi lasciato con la sua ragazza, il cui ricordo lo ossessiona costantemente. Un giorno sperimenta un nuovo software che produce un'intelligenza artificiale, Theodore si innamorerà della sua voce.
Diretto da: Spike Jonze
Genere: drammatico
Durata: 126'
Con: Joaquin Phoenix, Scarlett Johansson
Paese: USA
Anno: 2013
In un futuro imprecisato non troppo lontano e malinconicamente distopico, Theodore (Joaquin Phoenix), uscito da poco da una un matrimonio e prossimo al divorzio, comincia quella che sarà a tutti gli effetti un’altra relazione amorosa, ma col suo sistema operativo, che ha la voce suadente di Scarlett Johansson.
Questo è il soggetto, a prima vista decisamente bizzarro, dell’ultimo film di Spike Jonze, che dopo l’immaginifico, ruvido e toccante Nel paese delle creature selvagge (2009), torna a parlarci delle umane fragilità e del bisogno di amare ed essere amati. La prima cosa che viene da chiedersi è se il film sia una metafora dei rapporti umani, d’amore compresi, ai tempi del web 2.0, degli smart phone, dei tablet ecc. Di getto, subito dopo la visione, viene da dire, no. E allora che cos’è? Forse una sorta di elegia degli animi tristi e soli(tari)?
Ciò che ci passa davanti agli occhi per tutto il tempo è un dimesso Joaquin Phoenix, che di professione scrive lettere per conto di altre persone – lettere di auguri, lettere d’amore ecc. -, ed è ritenuto il migliore del suo ufficio. Si trascina tra lavoro e casa fino a quando la sua malinconica e ripetitiva esistenza prenderà una nuova piega, una volta che si ritroverà ad essere innamorato del suo sistema operativo OS1.
Perché Her, attraverso la sua asettica, hi-tech e vagamente futuristica ambientazione ben fotografata da Hoyte van Hoytema, parla proprio di questo: dell’amore, o meglio dell’innamoramento, che citando letteralmente una battuta del film, non è altro che ‘una follia socialmente accettata’.
Perciò il soggetto bizzarro del nuovo film di Spike Jonze serve forse a rafforzare questa visione. Cosa c’è di più folle che provare sentimenti profondi per un qualcosa che non è fatto di carne, pur possedendo la complessità e la fragilità dell’animo umano? Ma c’era bisogno di osare a tal punto, di sfiorare lo scult, per dire che gli esseri umani sono fragili, desiderosi d’amore e instabili nei loro sentimenti, che fanno fatica a crescere e ad accettarsi?