Adattato per il grande schermo dallo scrittore Nick Hornby, Wild è l’ottavo lavoro del regista canadese Jean-Marc Vallée, basato sul libro autobiografico Wild: From Lost to Found on the Pacific Crest Trail scritto da Cheryl Strayed. Fresco di un successo planetario con Dallas Buyers Club, Vallée ci riprova mettendo in scena un altro personaggio reietto della società, pronto a compiere un viaggio esistenziale alla riscoperta della strada perduta.
La protagonista Cheryl Strayed prende il volto dell’ex fidanzatina d’America Reese Witherspoon, indimenticabile svampita ne La rivincita delle bionde e Premio Oscar come migliore attrice nel 2006 per l’ interpretazione di June Carter Cash in Walk the Line. L’attrice cavalca la fortunata onda del 2014 che le vale la Nomination a Miglior attrice protagonista in Wild e la diffusa notorietà conquistata con il ruolo di Penny in Vizio di forma di Paul Thomas Anderson dello stesso anno. Aiutata dal ruolo secondario quanto mai fondamentale di Laura Dern nei panni della madre Bobbi, la Cheryl-Reese incarna uno stereotipo molto in voga negli ultimi anni nella filmografia americana: la reietta che molla tutto per inseguire un ideale di purezza perduto, contaminato dalla droga, dalle avventure extraconiugali che le hanno infranto il matrimonio, dalla liberazione dal senso di colpa che l’ attanaglia ogni momento.
Una scelta coraggiosa, vicina per tema al mozzafiato Into the Wild del 2007 scritto e diretto da Sean Penn, anche esso estrapolato dal romanzo Nelle terre estreme di Jon Krakauer. I due emarginati però sono distanti anni luce, in quanto Christopher McCandless aka Emile Hirsch, soggiogato dalla famiglia, si vede costretto ad abbandonare il suo ruolo predestinato nella società borghese, affrontando il percorso sempre con spirito costruttivo e ottimista. L’ anti-eroina di Vallée è invece sopraffatta da un mondo che sembra volerla sommergere, e si abbandona nei suggestivi ma ostili paesaggi dell’ Oregon come una combattente allo sbaraglio.
Il suo spirito aggressivo si palesa già nella scena di apertura del film, dove Cheryl in cima alla montagna perde uno scarpone che precipita in un baratro, e lei sbraita contro questo paradiso avverso decidendo in quel preciso istante che non si sarebbe mai fatta distruggere. Il programma di terapia a tappe si articola con alternanza presente/passato, il paesaggio filtrato attraverso l’anima della protagonista si mescola con i ricordi disagiati dell’altra se stessa. La macchina da presa si sofferma sui cambiamenti fisici di Cheryl, indagandone i lividi e i graffi, il deserto è solo la cornice in cui la bionda eroina si immerge in cerca di redenzione. Un racconto di vedute che si fonde con il biopic avventuriero, trasportando il pubblico nell’esplorazione di terre desolate e patteggiando nella scelta femminista della trasandata Witherspoon, in una delle interpretazioni più ricche di empatia degli ultimi anni.