Non è dicembre se non c’è Woody Allen al cinema. Tradizione vuole, però, che a un gran film, Woody ne faccia succedere uno dai toni minori. Visto quindi che lo scorso anno l’instancabile regista ci aveva deliziati e si era accaparrato l’Oscar con la bravura di Cate Blanchett e la sua Blue Jasmine, alla visione di questo Magic in the Moonlight si parte già preparati, già pronti a lasciarci trasportare da una sicura leggerezza. E leggerezza e brio incontriamo.
Abbandonata nuovamente l’America e le strade solari di Los Angeles, torniamo in Europa, per la precisione nel sud della Francia, in Costa Azzurra. Qui è chiamato Stanley Crawford -esperto mago che sul palco si finge un cinese che ha potere di far sparire un elefante- per smascherare una fantomatica medium, che con le sue sedute spiritiche e le sue capacità, pardon, vibrazioni mentali, sta facendo fortuna tra i ricchi della Costa, conquistando anche il cuore del facoltoso Brice Catledges.
Cinico, egocentrico e misantropo, Stanley cercherà in tutti i modi di annichilire Sophie, trovando davanti a sé però la purezza e l’ingenuità di una bella ragazza americana, che con il suo sorriso e il suo modo di fare naif, lo conquista, facendogli dimenticare almeno momentaneamente il suo odio verso l’umanità e facendolo ricrede sui poteri occulti e l’esistenza di un aldilà. Storia semplice, che ai misunderstanding e alle gag mescola sano romanticismo, elevato da un’ambientazione tanto da favola, come sono gli anni ’30 e come sono quelle ville immerse nel verde in riva al mare.
Nelle mani di un altro, tutto questo poteva scadere in un un’inutile commedie romantica, in quelle di Woody invece, per quanto innocente e flebile sia, Magic in the moonlight si trasforma in un piacevole passatempo, lontano dai suoi capolavori, ma pur sempre fatto della loro stessa materia. Colin Firth non è la sua incarnazione migliore, troppo british, troppo serio (anche se immagino che il doppiaggio c’abbia messo del suo per farmi dire così), ma le sue parole sono alleniane al 100%, cariche di quel cinismo, di quell’ironia inconfondibile. A fare da contraltare, una deliziosa Emma Stone, che illumina da sola l’intera pellicola, grazie alla naturalezza e alla semplicità con cui interpreta la sua golosa e bellissima Sophie.
Se non fosse per quei vestiti da rubare e per quella musica jazz tanto cara all’intera filmografia, in realtà i ruggenti anni ’30 sembrerebbero superflui, l’occasione per farci fare un piccolo viaggio nel tempo, per una storia che potrebbe essere ambientata anche ai giorni nostri. I 98 minuti passano così leggeri e spensierati, tra risate immancabili, frecciatine qua e là al Vaticano e a Dio, senza graffiare come altrove, senza far sognare più di tanto. Per quello, l’appuntamento è già fissato per il prossimo dicembre.