E’ un gioco continuo di alternanza tra l’identità tradizionale e il confronto con la società occidentale che il regista svedese mette in scena nell’ultima commedia Amore, cucina e curry, dando luogo alla fusione dei sapori, tra spezie orientali e profumate omelette alla francese. Così la cucina si presta a metafora del cambiamento in cui sapori, odori e profumi possano incontrarsi, fondersi perché nasca qualcosa di altro e sublime. Ed è il cambiamento quello cui giungono tutti i personaggi e, come in un romanzo di formazione, si scoprono, coraggiosamente, altro da ciò che erano. Allora sfilano gli archetipi dell’algida e superba cuoca francese, il brillante apprendista indiano, la seconda cuoca remissiva ed il capo famiglia irrimediabilmente tradizionalista e ottuso.
Dopo Chocolat, senza troppo allontanarsi, il regista svedese torna di nuovo a misurarsi con una commedia sui sapori della buona cucina e su quanto alcune novità giungano inammissibili e scandalose umiliando così il tradizionale buon gusto. Oltre a questo s’inserisce in un filone già da alcuni anni avviato con gran successo di pubblico, di cui l’ultimo esempio uscito in questi mesi con la regia di Jon Favreau, Chef. La ricetta perfetta, insolito road movie alla ricerca del piatto perfetto, più in linea con la filosofia da fast-food a bordo di un camper in giro per l’America che non con piatti raffinati e modaioli serviti in ristoranti newyorkesi a caccia di stelle nella guida Michelin. Ancora una volta è all’elemento esotico che il regista affida il potere catartico o meglio risolutore delle sue storie. E’ l’altro, lo straniero, che porta con la propria cultura e le proprie tradizioni nuova linfa vitale a quella in cui arriva, una piccola cittadina nel sud della Francia che incanta per i per i suoi paesaggi fiabeschi e quei sapori evocati dalle cibarie locali.
Tornato a dirigere, dopo l’ultimo film in cui si cimenta nel thriller, L’Ipnotista, una commedia romantica, al regista svedese va senz’altro riconosciuto quanto decisiva ed eccellente sia la scelta dei suoi attori che senza che la sceneggiatura ne descriva dettagliatamente il carattere e le sfumature, assumono in prima persona, grazie alla loro duttilità attoriale, il ruolo portante della storia. Così se può sembrare trascurabile l’esito di quest’ultima prova sul buon gusto della cucina, tutt’altro si può dire dei suoi interpreti che si dimostrano impeccabili nei loro ruoli. Con la produzione di Steven Spielberg per il film, che nelle sale inglesi è uscito con il titolo di The Hundred-Food journey e in Italia arriverà dal 9 Ottobre, dispiace che parte dell’incredibile interpretazione dell’accento francese di Hellen Mirren, francese più di una francese doc, si perderà nel doppiaggio.