Noi credevamo

Domenico, Angelo e Salvatore sono tre ragazzi del Sud Italia coinvolti nei moti borbonici del 1828. Le loro vicende si intrecciano nel lungo e tortuoso percorso che porterà all'Unità d'Italia. Dall'arrivo di Cristina Belgioioso a Parigi fino all'insuccesso dei moti savoiardi del 1834.
    Diretto da: Mario Martone
    Genere: storico
    Durata: 170
    Con: Luigi Lo Cascio, Francesca Inaudi
    Paese: ITA, FRA
    Anno: 2010
7.4

«Non puoi dire al popolo: sei libero. Devi dirgli: questi sono i confini che separano la schiavitù dalla libertà ben regolata». Queste parole, pronunciate nel film di Mario Martone dalla Principessa Cristina di Belgioioso (Francesca Inaudi), pongono l’eterno dilemma, comune a tutte le rivoluzioni: in quale misura è necessario coinvolgere il popolo nel rovesciare il potere costituito? Per Mario Martone è questo uno dei problemi fondamentali che riguardò anche l’Unità del nostro paese, costruita sulla pelle di tanti, ma in base alla decisione di pochi politici, tra cui vecchi repubblicani mazziniani che in poco tempo diventarono monarchici convinti. L’albero fu piantato, ma «con radici malate» e le conseguenze di ciò si vedono ancora oggi.

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Martone racconta la storia del Risorgimento seguendo tre personaggi immaginari, Angelo, Domenico e Salvatore, amici da ragazzi ed entrati insieme nella Giovane Italia. Le loro strade prenderanno direzioni diverse: Angelo (Valerio Binasco) diventerà violento e si allontanerà da Mazzini, Domenico (Luigi Lo Cascio) non rinnegherà mai i suoi ideali repubblicani ed assisterà al voltafaccia dei suoi compatrioti, mentre Salvatore (Luigi Pisani) avrà una fine tragica, accusato di essere una spia.

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La vita dei «grandi» che hanno fatto l’Italia viene raccontata solo di sfuggita: Cavour, Garibaldi e Vittorio Emanuele III sono completamente assenti nel film. La scelta è significativa: mentre i grandi giocavano, altri rischiavano personalmente la vita, commettendo in alcuni casi errori notevoli, ma, comunque, rischiando. Rappresentati, invece, invece, Giuseppe Mazzini (Toni Servillo) e Francesco Crispi (Luca Zingaretti). Anche questa doppia presenza non è casuale: è dalle idee di Mazzini che è partito tutto, è stato il suo pensiero ad animare i corpi e gli spiriti dei rivoluzionari ed è stato il suo pensiero il primo ad essere tradito, in primis dal suo «fedele» seguace Francesco Crispi, rappresentante di quella politica voltafaccia che l’Italia conosce bene. In Noi credevamo non vi è, dunque, nessun tono epico o patriottico, né alcun intento di mitizzare coloro che hanno partecipato al Risorgimento, bensì soltanto il tentativo di raccontare con onestà quello che è successo attraverso gli occhi di tre rivoluzionari qualunque, che nessun autore ha mai inserito nei libri di storia.

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L’obiettivo di Martone nel realizzare quest’opera sembra essere chiaro, anche se a costo di essere in alcuni momenti eccessivamente didattico: ricordare agli Italiani come è stata costruita l’Italia e a che prezzo. Ricordare a tutti gli Italiani che l’Unità fu voluta per molti anni dagli intellettuali del Sud, ma fu realizzata quando fu presa la decisione dal Piemonte. Ricordare che i Piemontesi commisero al Sud crimini terribili e ingiustificabili, nel tentativo di «piemontesizzare» forzosamente le regioni meridionali che pure avevano speso tantissimo per l’Unità. Ricordare, infine, che la nostalgia per i Borboni era ed è comunque insensata, perché si trattò di tiranni che condannarono il Sud all’arretratezza economica e sociale.

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Sul finale, il film pone un interrogativo fondamentale: pur nella convinzione che l’Unità d’Italia fosse giusta, sarebbe stato meglio attendere? Sarebbe stato meglio aspettare qualche anno per creare una repubblica con delle radici ben salde piuttosto che una monarchia barcollante? Insomma, ribaltando una famosa citazione attribuita a Massimo D’Azeglio, sarebbe stato meglio fare prima gli Italiani e poi l’Italia? Ma si sa, la storia non è fatta di se.