Il documentarista Errol Morris intervista l'ex Segretario della Difesa degli Stati Uniti sotto l'amministrazione di Gerald Ford (1975-1977) e sotto l'amministrazione di George W. Bush (2001-2006). L'intervista riguarda: la Guerra Fredda, la guerra al terrorismo degli anni '00, le torture nelle carceri di Guantanamo.
Diretto da: Errol Morris
Genere: documentario
Durata: 103'
Con: Donald Rumsfield, Errol Morris
Paese: USA
Anno: 2013
A quanto pare Errol Morris ha inseguito il coniglio sbagliato. Il problema con chi è dotato di un senso dell’umorismo molto raffinato è che la presa in giro, anche davanti alle situazioni più serie ed imbarazzanti, è sempre dietro l’angolo.
Così Morris con Donald Rumsfield. In questo documentario, dove uno degli uomini più importanti degli ultimi 30 anni di Storia americana, viene intervistato sui temi scottanti come la Guerra in Vietnam, la gestione della CIA nel disastro del 09/11, le torture di Guantanamo, il documentarista si fa piccolo piccolo davanti al muro di ambiguità conservatrice, alla furbizia spacciata per professionalità, alla modestia come arma di difesa per scongiurare attacchi diretti, come nelle domande relative alle condizioni delle carceri speciali per i sospettati di terrorismo.
Morris voleva l’impossibile da Rumsfield: l’ammissione di colpevolezza. Il documentarista americano mostra gli atti atroci della guerra e delle torture ed ogni volta che fa una domanda a Rumsfield, quest’ultimo si comporta come quando era Ministro delle Difesa, davanti a decine e decine di giornalisti, costretto ogni volta a barare e ad occultare la verità, spargendo menzogne come fossero caramelle.
Ecco, Rumsfield si comporta così davanti all’inerme Morris, che non lo blocca mai quando questo cerca ogni volta una scusa per parlar d’altro, o dare una risposta poco esaustiva.
Morris sa già quello che Rumsfield dovrebbe dire, tenta di estorcergli una confessione che il suo avversario non potrà mai dargli in regalo. Ma allo stesso tempo non fa nulla per guadagnarsela.
Bisogna anche dire che Rumsfield è un vero e proprio squalo della comunicazione e con uno come lui anche la più fervida dialettica non funzionerebbe. Con Rumsfield non si scherza e questo Morris deve averlo sottovalutato. Oppure ha corso il rischio sapendo che la partita sarebbe stata persa in partenza.
Allora cosa ha cercato Morris? Ad un certo punto, nella seconda parte, Morris lo chiede direttamente a Rumsfled: “perché sta parlando con me?”. La risposta è ovvia: “non ne ho la minima idea”.
Professionalità, modestia, autoironia, sarcasmo a 360°: per aver amministrato alcune delle stagioni americane più controverse degli ultimi 30 anni, queste sono componenti fondamentali nel gioco politico delle parti, per non farsi mai divorare dalle correnti, per essere sempre decisivi e glaciali di fronte alle scelte più impervie.
Morris era davanti al bivio: fare una modesta figuraccia, oppure trasformarsi in un reporter-detective e mostrare i denti. Ha scelto la via della modestia ed ha incontrato un fallimento indigesto, fors’anche sconfortante, persino monotono, nel suo incedere sempre uguale, mostrando fatti che già si conoscono, senza mia offrire un’interlocuzione che potesse avere il sapore di una dialettica tra due persone, che non potrebbero comunque andare d’amore e d’accordo neanche volendo.
Morris voleva ripetere l’operazione della lezione di Storia, come era successo con il mirabile The Fog of War (2003), ma stavolta i fatti messi in scena portano ad una riconsiderazione del narrato. Stavolta era necessario un intervento d’ingiunzione catartica di cui nel precedente documentario non si sentiva la necessità. In The Fog Of War Robert McNamara ricostruì la vicenda della Guerra in Vietnam, i risvolti più ambigui dell’amministrazione Nixon, il dolore per la sconfitta: c’era molta più onestà e si sentiva tutta l’ineluttabilità degli eventi.
Con The Unknown Known il gioco della dialettica dietro il quale si cela l’arroganza “smile” di Rumsfiled genera solo un torbido fastidio, come un colossale sberleffo nel cerchio del tempo, dove si ripete sempre la stessa battuta anche quando la musica è finita.