Una bambina di sei anni, Maisie, vive in una famiglia di genitori separati, passando il suo tempo nella casa paterna e in quella materna, entrando in contatto con i rispettivi partner. Maisie capisce quato siano infantili i loro genitori e pensa di doverli aiutare in qualche modo a crescere.
Diretto da: Scott McGehee, David Siegel
Genere: drammatico
Durata: 99'
Con: Julianne Moore, Steve Coogan
Paese: USA
Anno: 2012
Quel che Sapeva Maisie non è un film sulla genitorialità disastrata dei nostri tempi. Non è nemmeno un film che tratta degli strascichi del divorzio sui piccoli. E da ultimo non è neanche un film sulle famiglie alternative o allargate. Per fortuna.
Per rendersene pienamente conto si può partire da un confronto, sebbene superficiale, con Incompresa di Asia Argento. Che è sì un film dotato di un suo traballante equilibrio, ma si rimette anche ad alcuni luoghi comuni per conseguirlo (visto il tipo di operazione sarebbe peraltro più giusto dire “azzeccarlo”).
Dove Incompresa sceglie un punto di vista soggettivo e diaristico indispensabile per fare accettare le forzature di sceneggiatura, appoggiandosi alla caricatura per un intreccio che ha non pochi tratti della telenovela, Quel che Sapeva Maisie lascia parlare le inquadrature, la loro durata, la loro pulizia prima sostanziale che formale. Al centro sta Maisie che forse sa tutto, capisce tutto, ma non c’è bisogno di spiegarlo in lungo e in largo.
Non serve la logorrea. Non servono (tante) storie e scene madri. Il melodramma è presente negli scontri dei genitori e nelle proteste di affetto della madre Susanna (una Julianne Moore per cui non esistono ormai più superlativi), spesso contraddette dalle azioni, ma è quasi assente per il resto.
Di cosa parla allora Quel che Sapeva Maisie? Parla delle strategie di adattamento agli altri. Rende partecipi ed edotti di quegli itinerari non ideali, ma pieni di buche, gibbosi, attorcigliati con i quali ci si sforza di mitigare la sofferenza e di dare un calcio alle paure più grosse della vita. Rimanere soli. Non essere importanti. Non riuscire ad amare (abbastanza da) essere riamati.
Questioni fondamentali, che si presentano a sei anni come a venti (lo mostra la storia dei due giovani amanti scaricati tra cui nasce un’attrazione: punteggiature e virgolettature di scrittura che non fanno deragliare l’insieme), e che col tempo e l’età possono rimanere sepolte da trucchi retorici e dissimulate dall’abitudine alla menzogna, però non scompaiono. Nella sperimentazione di questi percorsi di vita, Maisie è una bambina solo per fattezze e limiti di “repertorio”. Maisie “sa”, per l’appunto, così che ogni primo piano ci racconta qualcosa del suo faticoso apprendistato alle ansie della vita.
Nel piccolo manuale di resistenza secondo una bambina che i registi di Suture imbastiscono con consumata perizia retorica, la parte del leone spetta ad ogni modo al montaggio, che dà vita a tante sequenze relativamente brevi e in gran parte giustapposte – perché le vicende dei personaggi evolvono, ma sembrano tuttavia ristagnare nella ripetizione dei medesimi tragitti ed errori – nelle quali prevale uno sguardo scorato sulla possibilità di ricostruire un senso preciso dell’agire degli individui, e non solo la condanna dell’irresponsabilità parentale com’era invece nel romanzo di Henry James su cui si basa il film.
Quel che Sapeva Maisie mette a nudo con acuta consapevolezza il caos e l’indifferenza che dominano le vite delle persone: nelle quali ci sono cambiamenti continui e rilevanti (il padre di Maisie si mette con la baby sitter nel giro di una scena e saltando qualsiasi evoluzione percepibile del rapporto; il matrimonio di Susanna con il barista “senza nemmeno la torta nuziale” stupisce lo spettatore quasi quanto Maisie e poi di fatto finisce in poche battute), ma non pare che si producano né più coscienza né più maturità.