Nel 1952, in Nuova Zelanda, due compagne di scuola, Juliette e Pauline, si innamorano perdutamente, dando libero sfogo alle loro fantasie adolescenziali. Ma la madre di Pauline si oppone alla loro relazione. Le due ragazzine escogiteranno un terribile piano pur di rimanere insieme.
Diretto da: Peter Jackson
Genere: drammatico
Durata: 99'
Con: Kate Winslet, Melanie Lynskey
Paese: NUOVA ZEL, GER
Anno: 1994
Gli anni ’90 sono stati un decennio estremamente fertile, sospeso tra classicismo e sperimentazione. Forse l’ultimo decennio in cui il cinema americano è stato ancora al centro dell’immaginario collettivo, prima che arrivasse la crisi post-9/11 del decennio ’00.
Nel decennio degli anni ’90 i grandi film si sono sprecati. Ma uno in particolare rimane nella memoria come uno dei più curiosi exploit estetici, non solo di quel decennio, ma dell’intera storia del cinema.
Heavenly Creatures ( Creature del cielo, 1994) rimane il film più compiuto di Peter Jackson, girato in Nuova Zelanda poco prima di iniziare il matrimonio con Hollywood, con The Frighteners (Sospesi nel tempo, 1996). Il film segna l’esordio di Kate Winslet e rivedendolo a distanza di 20 nella nuova edizione in Blu Ray si ha la sensazione che nulla sia cambiato. L’emozione è la stessa, solo più forte, corroborata da colori vivissimi, tali da commuovere ancora.
Creature del cielo all’epoca venne quasi preso sotto gamba, come operazione a metà tra Tim Burton (per la messa in scena del mondo favolistico di due ragazzine adolescenti) e Jane Campion (per la trattazione di tematiche legate ad una femminilità accesa e controversa), il Mereghetti gli diede un voto relativamente basso (**1/2) che oggi meriterebbe di essere revisionato e portato al massimo (***1/2 o ***), soprattutto a fronte del fatto che lo stesso Mereghetti ha dato voti ben più alti ai kolossal digitali che difficilmente possono essere ancora rivisti (e Amabili resti, il più cocente fallimento di Jackson, a cui il Mereghetti diede un generoso **, oggi meriterebbe il famoso cerchietto, il voto che si da alle opere più deludenti dei grandi autori).
Alla Mostra del Cinema di Venezia, all’epoca presieduta da David Lynch, si mormorava che l’autore di Blue Velvet fosse talmente entusiasta del film di Jackson da volergli dare il Leone d’Oro, ma alla fine Jackson si dovette accontentare del Leone d’Argento alla miglior regia.
Il tratto più importante di Creature del cielo è quello di mostrare con assoluta leggerezza uno dei più terribili fatti di cronaca nera successi in Nuova Zelanda negli anni ’50: due ragazzine dall’immaginazione alquanto furente, innamorate l’una dell’altra, decidono di uccidere la madre di una della due che non approva la strettissima unione nata tra di loro.
La società è ancora indietro sulle coppie di fatto, l’omosessualità è vista dai più come una cosa anormale. Jackson osserva con totale nonchalance gli aspetti legati all’amore tra le due ragazzine e la sua regia “inventa” il Quarto Mondo creato dalle due protagoniste come una pura emanazione della follia adolescenziale, che nulla deriva né da Tim Burton, né da Jane Campion.
Il talento di Jackson è puro. Che poi il regista neozelandese si sia perso nelle cerimonie digitali è l’inevitabile controcampo del successo ottenuto dalla trilogia tolkieniana. Jackson dovrebbe fare come Sam Raimi: prima ha inizia con budget bassissimi, poi si è dato al cinema indipendente, di conseguenza ha ottenuto il successo ed è approdato ai kolossal digitali ad altissimo budget, poi è tornato alla media produzione ed infine è tornato alla mega produzione, non segnando una battuta d’arresto, ma registrando addirittura il suo miglior film in assoluto.
Ma, inevitabilmente, con Creature del cielo si assiste a qualcosa di irripetibile. La sintesi perfetta del cinema jacksoniano, il taglio siderale di una partitura limata e organizzata secondo un modello distillato e circoscritto all’interno di un mondo-cinema che architetta un immaginario che faccia dell’immagine dei corpi un sontuoso allestimento fantasy-erotico dove l’ironia e la fiaba siano un tutt’uno e dove il colore faccia da vettore di senso. Nel cinema di Jackson, purtroppo, finora, si può dire che i miracoli non si ripetono due volte.