Dalla miniserie tv del 1990 di Tommy Lee Wallace alla nuova serie tv in uscita nel 2025. La storia del pagliaccio-mostro Pennywise creata da Stephen King darà luogo a tre produzioni di rilievo, oltre alle due sopracitate: la prima celeberrima con Tim Curry, che creò dal nulla la figura di Pennywise, l’ultima sempre per il piccolo schermo, Welcome to Derry, la si vedrà il prossimo anno ed è ancora una scommessa e non si sa se avrà lo stesso successo. In mezzo a queste due è stata editata la seconda produzione in ordine cronologico, stavolta pensata e nobilitata per il grande schermo, con il buio della sala e con una visione obbligatoriamente condivisa con il pubblico, che non ha nulla a che vedere con una più o meno distratta, comoda visione in tv, magari sul divano. Questa versione cinematografica è stata diretta dall’argentino Andy Muschietti, divisa in due (come Kill Bill del 2003-2004, Dune 2021-2024 e Mission Impossible Dead Reckoning 2023-2025), costata rispettivamente 35 milioni l’episodio numero 1 del 2017 e 79 milioni l’episodio numero 2 del 2019. Cifre grosse per due film del terrore, i quali, nonostante fossero entrambi vietati ai minori di 14 anni, quindi con una potenziale notevole perdita di pubblico di minori, ha comunque avuto notevoli incassi anche in Italia.
Questo è il riassunto di quello che è successo dopo l’uscita della prima miniserie del 1990. Il Mito che ne è scaturito. Con Bill Skarsgard che, nei due film di Muschietti ha dovuto rimpiazzare un attore proveniente dalla vecchia gloriosa scuola, il Tim Curry che oltre a inventare il pagliaccio di It aveva anche inventato Frank’N’Further di The Rocky Horror Picture Show. Le due performance sono sicuramente connesse, per essenzialità e genio.
Qusta mia analisi si è basata sulla lista degli inediti composta da Segnocinema nel numero 51 del Settembre-Ottobre 1991. Il primo episodio della miniserie uscì nel 1990 nella televisione USA. Sulla rivista venne fatta la lista di tutti i film non arrivati sul grande schermo in Italia nella stagione 1990-1991. Oggi si ritrova lì una parte consistente della produzione commerciale americana e non solo dell’epoca. Nella lista compaiono anche anche I segreti di Twin Peaks di Lynch, Flashback di Amurri con Dennis Hopper, Pink Cadillac con Clint Eastwood. E poi si trovano una pletora di immagini residuali, ideate per il tubo catodico, veri o presunti scarti dell’immaginario e comunque tutte produzioni di piccolo calibro, nessuna delle quali all’epoca poteva competere con le grandi produzioni del tipo: Nikita di Luc Besson, Caccia a Ottobre Rosso di McTiernan, Dick Tracy di Warren Beatty. Si trattava di due mercati paralleli.
It di Tommy Lee Wallace che oggi, tra il 2017 e il 2025 è probabilmente ricordato meglio di questi tre film presi a caso, ieri faceva parte di un mercato residuale, un’opera infantile e piena di goffaggini del tutto avulse al modus operandi ufficiale. Poi la Storia ha ribaltato la situazione. Il film nel giro di 25 anni non è diventato proprio un cult come Blade Runner o Dune, semplicemente, ci si è resi conto, soprattutto tra i produttori, i quali non hanno più idee nuove, creano esclusivamente revival di un glorioso passato di vecchie glorie degli anni ’80, che quel tipo di regia, essenziale e mai urlata, che faceva paura con pochissimo (anche se nell’ultima edizione del dizionario del Mereghetti si legge che le caratteristiche di film pauroso del primo It sono ingiustificate, perché gli vengono preferiti un film del terrore “politico, serio, adulto” come Il serpente e l’arcobaleno di Craven del 1988 o il nichilismo selvaggio come Il signore del male di Carpenter del 1987 che prende anche il massimo dei voti), rimane meglio nella memoria di molte altre produzioni enormemente più blasonate all’epoca.
DI conseguenza L’operazione di It 2017-2019 di Andy Muschietti è un esorcismo che il cinema americano di oggi ha fatto per scacciare l’incubo del declino, magari affidando la regia non più ad un americano bensì ad un argentino, perché gli americani non sono più Great Again. Lo si era capito. Difatti i sudcoreani hanno ottenuto l’Oscar, perché i registi americani il cinema non lo sanno più fare, hanno ricevuto per anni lezioni continue dai messicani Cuaron, Inarritu e Del Toro pluripremiati dall’Academy. Birdman del 2014 era un Lubitsch del terzo millennio appena più involgarito. Non puoi chiedere a David Fincher (Millennium, L’amore bugiardo) o a Jonathan Levine (Warm Bodies, Non succede…ma se succede) o a Sofia Coppola di creare né Birdman né il nuovo It. Il cinema datato 1990 reclama facilmente i suoi diritti nell’era del globalismo odierno non più gestibile da Hollywood.