È la prima volta che Wes Anderson propina pesanti discorsi religiosi indirizzati tendenzialmente verso l’ateismo. Tim Burton e Tarantino non li hanno mai fatti, anzi è proprio attraverso i versi di Ezechiele che il gangster Samuel L. Jackson uccide su Pulp Fiction. Ma questo avveniva 29 anni fa per l’appunto.
Oggi il neo culto pagano della globalizzazione deve estirpare la religione dai popoli per affermarsi definitivamente. Questa è la vulgata concepita dalla nuova destra contro l’establishment comandato dalla sinistra globalista radicale.
Ed è sulla base di queste premesse ideologiche che la ricezione di Asteroid City di Wes Anderson rischia di essere deturpata, essendo il film denso di concertazioni estetiche da mozzare il fiato, a partire dall’incipit in bianco e nero. Davvero oggi a Hollywood nessun regista può permettersi queste raffinatezze estetiche.
Peccato. Asteroid City è una rosa piena di spine irte e ben nascoste. Per la prima volta Anderson lavora insieme a Scarlett Johansson e il risultato è straordinario. Tutto il comparto visivo è degno dei cronatismi di Robert Yeoman, il mago della fotografia che da più di 20 anni dà la luce ai suoi film. Ma i tempi stralunati e bambineschi di Le avventure acquatiche di Steve Zissou devono essere finiti a quanto pare.
Ora ci si mette l’episcopale Tom Hanks a sostituire il divo supremo della commedia Bill Murray. La sua mancanza sia fa sentire? Hanks fa un lavoro diverso e cerca di adattarsi alla famiglia di Anderson.
Il dominio della scienza sulla religione che si dipana in Asteroid City, dove si preferisce credere agli alieni e alle streghe piuttosto che in Dio, potrebbe essere il risultato del grande Reset creato dalla pandemia. Potrebbe. La bandiera statunitense messa sopra la luna indica che Anderson non si è dimenticato da dove viene.
Questa rosa irta di spine non digeribili dovrà essere digerita con più difficoltà rispetto alle altre. C’è più freddezza nelle azioni calcolate, la capacità con il quale vengono creati paradossi linguistici resta un lusso intatto. Ma come diceva il padre di Albert Finney in Big fish di Burton, “si può discutere di tutto tranne che di religione, non si sa mai chi si potrebbe offendere “. Chissà chi avrà il coraggio di indignarsi ai tempi del Reset? Si guarda ammaliati Asteroid City e si ascoltano le peregrinazioni sulla sostituzione dell’afflato religioso con la fredda percezione scientifica. Lo sguardo e l’udito devono sempre decidere dove posarsi.