Il cinema di Abel Ferrara continua ad essere un enorme buco nero. Il principale difetto (o effetto collaterale) del suo cinema è l’esasperata rappresentazione del sacro come concezione del reale, effetto di repressione sulla percezione del bene in un mondo votato a massacro, perché malato di un autodistruzione in perenne ascesa.
Le volte in cui Ferrara si è liberato di questi orpelli filosofico-religiosi ha concepito le sue opere migliori, le meno predicatorie, le più libere, le più (in fin dei conti) divertenti: L’angelo della vedentta (vero capolavoro dalla morale cristallina) e il suo unico film di genere, Ultracorpi – L’invasione continua. Per il resto, lasciando da parte i suoi film più teorici (Blackout e New rose hotel vere e proprie perle nel buio che solo i fan più accaniti del regista si possono permettere di apostrofare come capolavori, in realtà sugli stessi temi sia Cronenberg sia Carpenter hanno fatto assai di meglio con IIl Seme della Follias ed eXistenZ), film acclamati come Il Cattivo Tenente, Fratelli, per non parlare di polpettoni pseudo filosofici come The addiction, risultano essere solo il frutto di una filosofia spicciola e troppo predicatoria, come se Ferrara volesse fare il verso al cinema scorsesiano. Purtroppo gli manca completamente una visione d’insieme delle cose e soprattutto un distacco, una lucidità, una pulizia figurativa che mancano completamente al cineasta americano.
Il senso del discorso è: smettila di parlare di Dio e dei massimi sistemi, del senso della morte e di un possibile altrove, perché già altri cineasti lo hanno fatto (da Rossellini a Pasolini) con ben altro stile. Difatti, solo usando il genere come struttura per far esplodere le contraddizioni tra i personaggi, all’interno di una narrazione solida e ben studiata, Ferrara riesce a completare questo circolo vizioso, che impedisce al suo cinema di farsi vera materia incandescente, in film come L’angelo della vendetta e Ultracorpi, e forse anche nel buon China girl, mentre King of New York lo definirei un banale thriller girato come e persino meglio di Scorsese.
Il dislivello nel cinema di Ferrara si esprime al suo meglio proprio in questo film: la componente figurativa è ineccepibile, la sceneggiatura è ripetitiva e stantia. Ma l’inizio e la fine (la sequenza migliore che abbia mai girato Ferrara, una delle più belle nel cinema degli anni ’90) sono strepitosi.