ATTENZIONE: SI CONIGLIA DI VEDERE IL FILM PRIMA DI LEGGERE IL TESTO
L’interpretazione di un film legata alla logica del videogioco assomiglia ad un “pensar male”, come fosse un errore cognitivo che si commette per mancanza di fiducia nei confronti di un regista nuovo giovane, proveniente da una nuova generazione, la quale potrebbe essere accusata di aver trascorso i suoi anni di formazione mescolando l’estetica narrativa di SuperMario Bros e gli script di Hitchcock o i polizieschi degli anni ’30-’40.
Con The Menu di Mark Mylan mi è accaduto questo. L’aver visto il film completamente all’oscuro della storia è stato molto utile, visto che durante la visione sono emersi i più che notevoli dubbi interpretativi di cui si diceva prima. Fatto sta che il nodo cruciale di The Menu è che la coprotagonista a fianco del personaggio di Nicholas Hoult, Anya Taylor-Joy è stata invitata per sbaglio alla festa-massacro del cuoco vendicativo. Dopo tre quarti d’ora si è capito che lei si deve salvare e i successivi tre passaggi narrativi che accadono e la fanno uscire illesa dal falò-suicidio finale, assomigliano alle porte segrete visibili in un videogioco di inizio anni 2000.
Questo “pensar male” non credo affatto debba sminuire la portata del gioco estetico creato Mylan per The Menu, il film un preciso disvelamento con un’impostazione dove i personaggi nascondo la loro vera natura e i ruoli vengono fuori secondo dettami fondamentali, senza mai operare tecnicismi esasperati. Si sente di aver assistito ad un programma prestabilito di morte a comando, ma la regia non presume movimenti di grande enfasi estetica. Nel finale si assiste alla vestizione delle vittime, poco prima dell’inizio del falò finale, in cui dall’alto si può ammirare la composizione di un dipinto culinario, come capolavoro definitivo del cuoco-artista-vendicativo-suicida che pretende tutto, e si auto elimina lasciano al personaggio di Anya Taylor-Joy la testimonianza di un crimine che scomparirà nel nulla. Resterà solo nella sua memoria.