La critica cine-televisiva italiana più blasonata negli ultimi ventidue anni ha consacrato molte produzioni televisive, tra cui Dottor House, I Soprano, Gomorra e via dicendo, ma si è completamente dimenticata la sit-com That ’70s Show. Lontana sia dai modelli di enorme successo che vanno da I Robinson (anni ’80) fino a Friends e The Big Bang Theory, la serie televisiva ambientata in Wisconsin nel 1978 era un cult assoluto certamente negli Stati Uniti, mentre nel periodo odierno, inteso come periodo pandemico-inclusivo-ambientalista-politicamente corretto si prende tutta la scena. Perché capace, di intercettare immediatamente le esigenze di quegli spettatori, come chi scrive, che di questa specie di dittatura inclusiva non ne vuole sentire affatto parlare.
Così pare. Quello che si dice in giro da anni, ormai: le serie televisive hanno “sostituito” il cinema. E’ vero? C’è innanzitutto da dire che con i prodotti televisivi ognuno ha il suo. Di conseguenza, ci sono spettatori incantati da Sex and the City, quelli che sono iscritti al partito di Gomorra o di Downton Abbey, oppure quelli de I Soprano o Dottor House oppure di Lost. Lo spettatore è abituato a vivere dentro una serie. Al sottoscritto è accaduto esattamente questo con That ’70s Show. Oggi questa serie è stata rifatta dalla piattaforma Netflix con That ’90s Show, ovvero, utilizzando la nuova modalità produttiva con la quale sono stati creati i nuovi Star Wars e Blade Runner 2046: si riprendono gli attori/personaggi dell’epoca mettendoli assieme ad un cast più giovane, con esisti abbastanza disastrosi. Netflix è incapace di lavorare ad un casting? Francamente si pensa che la risposta sia affermativa.
Questa conclusine la si evince studiando la serie originale, e ci si accorge dell’assoluta perfezione sia del casting (Mila Kunis, Ashton Kutcher, Daniel Masterson, Topher Grace, Laura Prepon, Debra Jo Rupp, Kurtwood Smith), sia dei dialoghi, dei tempi, della ricostruzione eccezionale degli ambienti dell’epoca (neanche il film di Richard Linklater Tutti vogliono qualcosa del 2017, ambientato agli inizi degli anni ’80 funziona così bene, pur non essendo un brutto film). Tutto funziona talmente tanto bene da porsi domande pericolose e paradossali: ma cosa ci stanno a fare i film? Si potrebbe costruire un simile lavoro come quello fatto per That ’70s Show, per il grande schermo? La risposta scontata è no. Ormai oggigiorno per le produzioni cinematografiche se il regista non possiede uno sguardo estremamente particolare, le mezze vie non sono tollerate. Quindi, ad esempio, dal punto di vista del realismo esasperato, il cinema italiano odierno pare spacciato.
La tesi in conclusione è la seguente: la serie televisiva That ’70s Show, andata in onda tra il 1998 e il 2006 circa, sostituisce brillantemente le commedie dell’epoca: Lost in translation (2003), Molto incinta (2007), Quarant’anni vergine (2005), Il diavolo veste Prada (2006), Vicky Cristina Barcelona (2008) e così via.
Quasi dimenticavo: nella versione italiana della sit-com presa in esame il doppiaggio è lo stato dell’arte. Si ride senza sosta.