Quale forza muove il cinema di Snyder? Che cosa emerge in un film fracassone, rutilante, violento, gore, visivo (e non visionario, perchè tutto è pedissequamente riportato in digitale), erotizzato come Watchmen di Zack Snyder (autore di una sciocchezza divertente quanto inutile come “300”)? Un cinema filo-governativo e bushano. Un cinema che non seleziona nessuna immagine, perchè le mostra tutte senza alcuna aderenza a nessun immaginario.
Nel cinema di Snyder c’è una stilizzazione visiva-emotiva che preoccupa perchè da seguito ad una ideologia in cui il moto è “pesta più forte, verrai ripagato”. Snyder titilla lo spettatore con smargiassate di immagini pesantissime fatte di metallo e sangue, costruendo barocchismi sfrenati tutti ricostruiti in digitale, che irrita per la sua ridicolaggine camuffata da estetica del film “filosofico” sui supereroi. Snyder è un regista intimamente reazionario, riportando indietro il cinema di 20 anni, seduce la forma cinema con un condensato di ultra-percezionalità dello spazio scenico visto come fosse uno spazio vuoto da riempire con esplosioni e scontri che ribadiscono l’inutilità di uno sguardo tanto furbo quanto compiacente. A Hollywood la plastica del digitale ha fatto (e continuerà a fare) solo danni.
Se si cercano delle serie lezioni di cinema si vadano a rivedere i film Pixar, il Che di Soderbergh, lo Star Trek di Abrams. E’ già difficile trovare un senso, una necessità della visione in opere quali Che di Soderbergh e Star Trek di Abrams, figuriamoci nell’antiestetica pauperistica proposta da Snyder, regista compiacente e collaborazionista della causa hollywoodiana, in cui ciò che non è affine alla major non viene accettato. Snyder dimentica che prima di filmare i punti di vista bisogna studiarli e riconoscerli affini ad una visione non programmata precedentemente.
Ma il beneficio del dubbio e delle zone d’ombra non fanno per Snyder, il quale si dissocia completamente da un’idea di cinema problematico, denso di significati e di significante, basata più sulla domanda che sulla risposta. Il risultato è una rassegna di luoghi comuni stratificati e resi tangibili solo dal digitale, emblema lussureggiante e fasullo di un modus operandi che controlla le emozioni dei personaggi/manichini messi in scena, ma non riesce mai a renderne partecipe lo spettatore. Nella lista dei registi che volevano dirigere un film dal fumetto di Alan Moore c’era anche Terry Gilliam, che non riuscì mai a portare a termine il suo progetto. L’anarchia ha perso di fronte alla cupidigia del visivo inteso come campo inerte e monodimensionale. L’anarchia non fa parte del DNA di Snyder. Lo si era già visto in “300”, film in cui l’anarchia (esclusivamente visiva) fa rima solo con rissa e ralenty.